«È un po’ un’ipocrisia all’italiana: ci nascondiamo dietro il proibizionismo sapendo che le norme sul proibizionismo servono a riempire le carceri, di extracomunitari in gran parte, e nessuno si preoccupa del perché il fenomeno cresce». Raffaele Cantone è intervenuto ieri sul tema della legalizzazione controllata delle droghe leggere durante un web forum dell’agenzia Agi.

Sostituto procuratore presso il tribunale di Napoli fino al 1999, Cantone è poi entrato nella Direzione distrettuale antimafia napoletana: fino al 2007 si è occupato delle indagini sui clan della camorra campana, in particolare dei Casalesi. Dal 2003 è sotto scorta poiché gli investigatori scoprirono un progetto di attentato ai suoi danni organizzato dalle cosche casertane.

Cantone si è occupato delle indagini che hanno condotto all’ergastolo i capi delle differenti fazioni dei Casalesi, come Francesco Schiavone detto Sandokan e Francesco Bidognetti. Dal 2014, in aspettativa dalla magistratura, presiede l’Autorità nazionale anticorruzione. Il traffico e lo spaccio di droga, col tempo, è diventato una delle maggiori attività economiche dei clan campani, in particolare nel napoletano ma anche nel salernitano, dove è minore la pressione delle forze dell’ordine. La grande liquidità che deriva dagli stupefacenti viene poi reinvestita nelle attività legali, generando una concorrenza sleale che altera il circuito economico.

Presidente Cantone, ieri è stata la Giornata della memoria e dell’impegno contro le mafie. Una delle maggiori fonti di guadagno per i clan è il traffico di droga. Le leggi che vietano il consumo di droghe leggere sono utili a sconfiggere i traffici illeciti della criminalità organizzata?

Che un grosso utile venga anche dalla vendita di cannabis è indubbio ma non si può ragionare sulle ragioni della liberalizzazione guardando ai guadagni, sarebbe una logica utilitaristica insopportabile. Mi spiego meglio: non si può giustificare un cambio di rotta unicamente prendendo in considerazione il tema del business delle mafie, anche perché sarebbe una sconfitta per lo Stato, che ammetterebbe implicitamente di non essere in grado di arginare il fenomeno. Non credo che quest’argomentazione possa rientrare fra quelle che potrebbero indurre a una diversa politica sugli stupefacenti.

Lo spaccio di strada, che spesso attira i consumatori nelle mani delle organizzazioni come spacciatori, si può contrastare con la repressione? se non è possibile non è meglio un consumo controllato da parte dello stato, più sicuro per chi ne fa uso?

Su questo punto mi faccio delle domande in modo laico più che avere delle risposte definitive. Ad esempio mi pongo in termini problematici la questione se non stia diventando particolarmente rischioso anche l’acquisto delle cosiddette droghe «leggere», sempre più spesso oggetto di trattamenti chimici che – come evidenziano molti studi scientifici – le rendono molto più pericolose e hanno effetti diretti anche sui comportamenti. Questo è un argomento che può essere valorizzato in un dibattito che, per quanto mi riguarda, non va assolutamente nella logica della liberalizzazione ma semmai in quella di introdurre meccanismi di vendita controllata.

Le norme repressive in vigore riescono a contrastare il fenomeno dello spaccio di droga oppure finiscono per colpire solo l’anello debole, quello finale della catena economica, lasciando ai clan grandi disponibilità economiche da reinvestire?

In parte l’una, in parte l’altra cosa. Ma non userei il termine «anello debole»: lo spaccio è un’attività grave che deve essere sanzionata in modo particolarmente rigoroso, cosa che purtroppo non sempre avviene in concreto. Le indagini sulla criminalità organizzata beneficiano molto delle disposizioni penali in materia di stupefacenti e abbiamo disposizioni molto dure dal punto di vista delle pene, utili anche al contrasto delle mafie. Ma non sempre tutta la catena viene individuata integralmente e spesso si ha l’impressione che una parte dei soggetti colpiti siano solo l’anello terminale. Il tema vero è che la quantità enorme di spaccio che c’è, soprattutto di cannabis, vede interventi repressivi assolutamente limitati rispetto all’entità del fenomeno.