I ritardi sul fronte della ricostruzione, fin qui, sono sempre stati giustificati come spiacevole conseguenza degli inflessibili controlli sugli appalti. Adesso, con la denuncia del presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, viene fuori che ci sono solo i ritardi, ma non i controlli. Così è almeno in Umbria e nelle Marche, dove «le cautele non sono state seguite».

Scrive Cantone in un documento inoltrato alle regioni coinvolte, alla presidenza del Consiglio e al ministero delle Infrastrutture: «Così si incrementa il pericolo di infiltrazioni criminali». È mancata la vigilanza, cioè «l’assicurarsi che gli operai nei cantieri siano realmente quelli delle aziende appaltatrici». Il magistrato, inoltre, invita le regioni a «verificare i contratti di rete stipulati di nascosto tra le ditte, spesso grimaldello occulto usato per far entrare la criminalità».

Da mesi ormai la procura di Macerata ha un fascicolo aperto sul caporalato nei cantieri della ricostruzione, realtà scoperta dalla Cgil locale, che trovò di tutto: da contratti scritti a mano su fogli A4 a tesserini contraffatti. Nella zona di Norcia, in Umbria, già nell’agosto dell’anno scorso l’Anac inviò la guardia di finanza per un’ispezione, e in quella sede venne fuori che quasi la metà degli operai non erano contrattualizzati dalle rispettive ditte. Questo capitolo, in particolare, riguarda l’annosa vicenda delle casette provvisorie, che, a quasi due anni dalla prima scossa, non sono ancora state consegnate tutte: i numeri ufficiali della protezione civile parlano di 3.303 strutture pronte, a fronte di 3.645 richieste. Nello specifico, nelle Marche sono arrivate 1.557 casette su 1.825 ordinate, nel Lazio 742 su 824, in Umbria 742 su 758 e in Abruzzo 217 su 238.

Numeri che descrivono una situazione che non si sblocca nel cuore del cratere, dove i giorni trascorrono lenti e le scosse continuano (negli ultimi tre giorni sono state due quelle superiori ai tre gradi sulla scala Richter), senza che i quasi 30mila sfollati riescano a vedere una qualche prospettiva di futuro: di ricostruzione ormai non si parla più, i lavori procedono spediti soltanto quando c’è di mezzo un centro commerciale, mentre il resto non si muove. Non solo l’ecomostro di Castelluccio – progettato nel luglio 2017, sarà disponibile prima dell’estate: un vero e proprio record – ma anche tante altre strutture più piccole disseminate qua e là per il territorio. Il modello di sviluppo è chiaro: prima si pensa a far ripartire l’economia (che da queste parti era in crisi nerissima già da prima del sisma) e solo dopo a dare un tetto ai terremotati.

E se questa è l’impronta data dal governo Renzi prima e da quello Gentiloni poi, il nascente esecutivo a guida leghista e pentastellata non sembra offrire orizzonti migliori, anzi. Dopo varie bozze senza nemmeno un accenno al terremoto, soltanto nella versione definitiva del famigerato «contratto» di governo sono comparse cento parole (702 battute, spazi inclusi) sul tema cruciale del sisma e della ricostruzione. Nessuna novità sostanziale, né indicazioni su come e dove verranno reperiti i fondi per rimettere in piedi le zone distrutte (il conto supera i 23 miliardi). Il sospetto che l’area appenninica non rinascerà mai, ogni giorno che passa, diventa sempre più concreto.

E così, dal «non vi lasceremo soli» con cui Renzi aprì la stagione del terremoto si è passati a un sostanziale «di voi ce ne infischiamo» di Di Maio e Salvini, che evidentemente ha abbandonato in fondo all’armadio le felpe con i nomi dei paesi terremotati esibite durante la campagna elettorale. L’addio ai monti del «governo del cambiamento».