A pronunciare ad alta voce Thyssen Krupp Acciai Speciali si produceva un effetto non gradevole anche prima della tragedia del 2007 a Torino, figurarsi dopo. Sette operai bruciati vivi dalla fuoriuscita di olio bollente. Si può rappresentare l’inferno nel Duemila? A questa domanda risponde Lo stridere luttuoso degli acciai – Cantata scenica per soprano, voce recitante, voci su nastro, ensemble e live electronics, andata in scena in prima assoluta lo scorso giovedì 4 e in replica fino a domani (stasera ore 21, domani ore 18), in perfetta ricorrenza dei giorni infernali, al teatro Astra di Torino. La musica è del compositore mantovano Adriano Guarnieri, il testo del poeta Giorgio Luzzi.

La notte ho dormito un sonno disordinato. L’inferno della scena ha fatto il suo lavoro e più che lo schermo-sudario dietro cui si agitano ombre umane e nomi operai, fuochi e fiamme industriali, è stata l’immanenza del suono a non lasciare scampo. Un piccolo ensemble di cinque strumentisti, pianoforte, flauti, violoncello, percussioni, trombone, diretti da Pietro Borgonovo, si incarica di trasformare in materia sonora la faida tra verità e menzogna della Thyssen Krupp Acciai Speciali, gli implacabili violoncello e trombone strisciano tra i sedili degli spettatori e ti seguono anche quando un po’ spossato te ne esci. Sei a casa e ancora ti risuonano addosso, Thyssen Krupp Thyssen Krupp. Chi un po’ conosca altre composizioni di Adriano Guarnieri sa che questo è il contratto originario della sua musica, potresti anche alzarti e andartene dopo le prime due note, ma se resti dalla terza in avanti l’incantesimo non ti abbandona più, vieni trascinato in mondi sonori inesplorati. Lo stridere luttuoso degli acciai prevede una voce di soprano dal vivo, Sonia Visentin, spesso in un registro meravigliosamente post umano, mescolato ad una schiuma di voci che non sono altro che la sua campionata polifonicamente. Voci così infernali da risultare quasi angeliche, se è vera la storia di Lucifero, angelo decaduto ecc. Così si fa ingresso nella memoria, della Thyssen Krupp e di noi stessi, una voce così soverchiante che ponendo a giudizio l’ordine simbolico e la gerarchia industriale intacca anche altri ordini simbolici e altre gerarchie, di cui noi spettatori siamo membri.

Quando sembrava che il mondo fosse nettamente diviso in bianco/nero, alto/basso le cantate si dividevano in sacre e profane, Lo stridere luttuoso degli acciai sarebbe stata senza dubbio riconosciuto come una cantata sacra. Il bellissimo testo di Giorgio Luzzi comincia così: «Questa notte mi sento davvero come un vecchio treno/ ostacolato dagli ossi dei bisonti. In fondo alla strada, nei tralicci/ del mondo, la Thyssen-Krupp va a fuoco. La sua potenza poetica esplode in Morte, Vendetta, Lutto, Memoria, Classe, Speranza…». Cioè sacre santità novecentesche, non sappiamo quanto ancora attuali. Al momento, insostituibili e non sostituite.

Una voce recitante, Michela Mocchiuti, fa proprie alcune delle sette stanze di questo testo carnoso e visionario, le proclama, con la voce e con le unghie, perché in questa cantata niente è rappacificato. Non so se fosse nelle intenzioni degli autori, musicista, poeta, registi, ma il rimando ad altre morti sul lavoro, per il lavoro, per il non lavoro, ti viene in mente, nomi che hai dimenticato, situazioni che ricordi vagamente, battaglie che hai ammirato, altre che non sai più collocare. Nella Cantata di Guarnieri c’è un momento strumentale molto spoglio, oserei la parola: lirico, una forma di war requiem, dove però i caduti non sono soldati combattenti, ma uomini/donne viventi la loro vita e risucchiati anche loro da un olio bollente di una thyssenkrupp diffusa che non perdona, una impalcatura, una polvere, un debito, una scossa elettrica, un ribaltamento, una non-fortuna o in-fortunio Ma in quel filo/ che le separa, amara/ la classe torna a intendere il suo nome, / confuso coro, iroso tra i rossori.