Alzi la mano chi sa che è stato un bambino, nelle strisce dei Peanuts, ad iniziare Schroeder al pianoforte, il bambino con la testa tonda per l’esattezza, Charlie Brown. Era il 24 settembre 1952 e da allora Schroeder si è staccato dal suo piano giocattolo ancora meno di Linus dalla sua coperta. É uno dei tanti meriti nascosti del caro vecchio Charles e, anche se le noccioline di Schulz sono in effetti piccoli adulti nel mondo di un bracchetto bambino, l’intuizione del suo autore è come al solito azzeccata: la musica trasmessa ai più piccoli nel modo giusto può attecchire e dare frutti favolosi, non fosse altro che quello di metterli in ascolto di sé, degli altri, del mondo (con buona pace di Lucy Van Pelt).

 

 

 

La stessa convinzione anima il progetto pesarese LiberaMusica che, sulla scorta del Sistema messo a punto dal venezuelano Antonio Abreu e divulgato in Italia da Claudio Abbado, è partito quest’anno nella città di Rossini (quello con le orecchie di Topolino disegnato da Massimo Dolcini, potendo scegliere) da un manipolo di musicisti, operatori sociali, artisti, volontari con l’intento di provare a immaginare e incoraggiare, attraverso la musica, una società alternativa, fatta di relazioni e di ascolto, appunto.

 

 

 

Quello che diceva Rodari delle parole, ovvero che il diritto a tutti i loro usi sia riconosciuto ad ognuno non perché tutti divengano artisti ma perché nessuno sia schiavo, si addice perfettamente anche al linguaggio musicale e anche per questo è nata LiberaMusica: per rivendicare il diritto alla musica per tutti. «La musica spetta a ciascun individuo, non deve essere un privilegio, ma sappiamo purtroppo che ancora oggi non è così. Fare musica insieme non significa solo essere musicisti ma permetterci, attraverso di essa, di diventare un domani, uomini, donne, bambini e bambine migliori di quanto siamo oggi» ci spiega Chiara Galli Presidente dell’Associazione pesarese.

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«Molti credono che per studiare musica sia necessario avere orecchio, avere voce, avere le mani adatte. Noi crediamo che l’unica cosa necessaria sia avere la possibilità di conoscere la musica, di avvicinarsi ad essa, di essere condotti in un cammino di condivisione».

 

È per questo che le attività che l’Associazione propone sono rivolte innanzitutto a quanti questa possibilità non ce l’hanno o comunque è ostacolata per loro dalla presenza di limitazioni economiche o particolari esigenze di apprendimento. E se per la prima questione l’Associazione si è affidata ad un fenomenale crowdfunding (con la campagna «Regala un violino» che ha raccolto più di 11.000 euro nell’arco di 4 mesi consentendo l’acquisto degli strumenti musicali necessari alle orchestre infantili) e all’esenzione legata al reddito delle spese di corso (o al loro pagamento in forma di altra collaborazione alla vita di Libera Musica), la gestione dell’aspetto didattico sociale ha percorso la via già tracciata da Abreu col suo Sistema, ovvero il metodo di insegnamento della musica intesa come leva di riscatto sociale e culturale pensato in origine per i ragazzini dei barrios venezuelani.

 

 

 

La premessa di accessibilità della musica e l’obbiettivo di inclusione intrinseca al progetto delle orchestre sinfoniche in Venezuela si è ampliata fino al coinvolgimento di bambini e ragazzi con deficit sensoriali, motori o cognitivi chiamati a cantare e suonare insieme e al pari di chi non vive queste disabilità.
L’esito più noto ed emozionante di questi percorsi è la creazione di Coros de manos blancas, bianche perché guantate ,dove a dispiegarsi con la musica non è – solo – la voce, ma sono mani e braccia: una realtà creata sulla scorta dell’eredità di Abreu dai connazionali Jhonny Gomez e Naybeth Garcia, da alcuni anni di casa anche in Italia dove hanno contribuito alla creazione di siffatte corali (esperienze importanti sono nate in Friuli, ad esempio, ma anche in Lombardia, a Palermo e nella Capitale) come nel caso di quelle pesaresi.

 

 

 

Il mistero di un canto senza voce è quello che più colpisce e si imprime nella memoria: molti hanno visto su youtube «il video dei bambini che cantano con le mani perché non possono parlare». In realtà è, addirittura, molto di più. In LiberaMusica il coro delle mani e delle voci bianche non è un numero poetico, l’escamotage per superare una barriera destinato solo a chi dietro quel limite fisico sembrava confinato, ma un sistema, un codice nuovo condiviso senza distinzione tra tutti i bambini che insieme fanno musica molto seriamente con il rigore tipico che i più piccoli mettono nei giochi e nell’applicazione delle loro regole.

 

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Tutti i bambini mostrano ugualmente nella pratica dello strumento e del canto la stessa determinazione di Schroeder chino sul pianoforte giocattolo esercitando, oltre che la capacità di ascolto e di attesa, anche la cura dell’altro (il compagno troppo esuberante nei gesti a cui stringere per un attimo la mano) come pure dello strumento che è stato loro affidato (un violino proporzionato alle piccole mani da riporre in custodia avvolto, qualcuno ha scelto, con la security blanket con cui dormiva da neonato). La compostezza e la destrezza di tutti dopo pochi mesi di lezione è naturale come lo sono le movenze del condiviso linguaggio dei segni, dove il canto diventa una danza e le braccia che si aprono suggeriscono l’idea del volo o la gestualità del maestro d’orchestra, come se, ed in effetti è così, ogni piccolo pur dentro un gruppo, stesse dirigendo se stesso, autodeterminasse la sua parabola sensoriale e di vita. Anche se nessuno di loro diventasse Abbado, davvero non è poco.