Si può acquistare, detenere, ma non coltivare. Procurarsi o possedere marijuana o hashish per uso personale non è più un reato penale dal maggio 2014: comporta “solo” – si fa per dire – sanzioni amministrative tipo sospensione della patente, del passaporto o del permesso di soggiorno, da uno a tre mesi. E invece, da ieri, coltivare piantine di cannabis anche soltanto allo scopo di consumarle in solitudine resta un reato sanzionabile con carcere e multe. Lo ha stabilito la Corte costituzionale dichiarando illegittima la questione sollevata dalla Corte di Appello di Brescia su ricorso dell’avvocato Lorenzo Simonetti che difendeva una persona condannata per la coltivazione di otto piante di marijuana.

I motivi saranno più chiari con le motivazioni del pronunciamento, ma per intanto la Consulta spiega nel dispositivo che «la decisione è riferita all’articolo 75 del testo unico in materia di stupefacenti ed è stata assunta nel solco delle sue precedenti pronunce in materia». Secondo l’avvocato Simonetti, in realtà la declinazione al plurale usata nel testo dai giudizi costituzionalisti è fuorviante, perché «da quando esiste il Testo unico delle leggi sugli stupefacenti, la Consulta si è pronunciata una sola volta nel 1995, dichiarando, all’epoca, inammissibile il ricorso della Corte d’Appello di Catanzaro».

Viceversa, dopo che nel febbraio 2014 la stessa Corte di piazza del Quirinale aveva dichiarato incostituzionale la Fini-Giovanardi, «sono numerose le sentenze di moltissimi tribunali in giro per l’Italia che hanno equiparato le due condotte» – coltivazione e detenzione – come ricorda Maria Stagnitta, presidente di Forum Droghe. L’ultima volta risale all’8 febbraio scorso, quando la VI sezione penale della Cassazione ha annullato una sentenza di condanna emanata nel 2013 dalla Corte d’Appello di Trento contro una coppia di ventenni che aveva in casa due piante di canapa indiana e un essiccatore.

«Quello della Corte è un vero e proprio regalo alle mafie di ogni sorta e colore – commenta senza mezzi termini il deputato di Si, Daniele Farina – Ora tocca alla politica riscrivere la norma, rompendo la gabbia dilatoria con cui si cerca di ritardare la discussione intorno al testo all’esame delle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera, e firmato da oltre 200 deputati». Se poi si aggiungono i senatori, si arriva a 290 parlamentari che hanno sottoscritto il pdl per la legalizzazione della cannabis e la liberalizzazione della coltivazione ad uso personale, quasi tutti aderenti all’intergruppo parlamentare guidato dal Sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, Radicale ancorché di Scelta civica. Il quale ieri ha auspicato «una soluzione legislativa, che può approvare o bocciare solo il Parlamento, non la Corte Costituzionale», la cui sentenza tuttavia, ha puntualizzato Della Vedova, «non smentisce, ma conferma la necessità di procedere rapidamente alla discussione del ddl». Inoltre, come ricorda ancora Stagnitta, giacciono in Parlamento anche altre proposte, come quella del Cartello di Genova «Sulle orme di Don Gallo».

Dal 18 marzo prossimo invece i Radicali italiani inizieranno a raccogliere le firme per la legge di iniziativa popolare, «che ha un’impostazione più liberale rispetto a quella in discussione alla Camera», riferisce il segretario Riccardo Magi che ha partecipato al sit-in di piazza Santi Apostoli in attesa della sentenza della Consulta. Da oggi poi, riferisce Magi, «sarà online una petizione rivolta al Parlamento europeo per chiedere di assumere politiche comuni sulle droghe e per la decriminalizzazione dell’uso e del possesso a scopo personale di ogni sostanza stupefacente».

In effetti, in Europa il regime di tolleranza sulle droghe leggere varia di Paese in Paese, anche se in nessuno Stato la coltivazione di cannabis è legalizzata. «In Spagna, per esempio – racconta Antonella Soldo, dei Radicali Italiani – si possono coltivare fino a 5 piante nei Cannabis social club; in Olanda è permesso ai coffee shop; nella Repubblica Ceca è totalmente depenalizzato il possesso fino a 15 grammi di marijuana, e in Portogallo, che è lo Stato dove vige il regime più liberale d’Europa in materia di stupefacenti, è depenalizzato il consumo personale di tutte le sostanze, senza distinzione tra droghe leggere e pesanti». L’Italia in questo campo non è l’ultima, ma si muove ancora una volta sulle retrovie, malgrado la stessa Dia abbia evidenziato il «totale fallimento dell’azione repressiva». In altre parole, il proibizionismo ha fallito.