Nei giorni scorsi è stato siglato il Protocollo d’intesa tra ministero della salute e ministero della difesa per l’avvio della produzione nazionale di preparati a base di cannabis ad uso terapeutico. «La decisione è  stata presa – come dichiarato dal Ministro Lorenzin – per rendere più economico il costo per lo Stato: a fronte della spesa attuale di 15 euro al grammo, con la produzione garantita dall’Istituto farmaceutico militare di Firenze, si risparmierà circa la metà. «Ma sarà anche più  agevole di quanto sia attualmente l’accesso ai farmaci cannabinoidi per i cittadini affetti da varie patologie che ne dovrebbero usufruire».

Il Convegno organizzato di recente dal gruppo di Sel  del Consiglio Regionale della Toscana poneva questo quesito come questione di civiltà. Infatti, nonostante la legge regionale n.18 del maggio 2012 abbia definito le disposizioni organizzative per l’utilizzo di farmaci cannabinoidi nel Servizio sanitario regionale, risultano ancora molto scarse le persone che riescono ad accedervi. Secondo alcune associazioni di malati, desta anche perplessità la Delibera Regionale del dicembre 2013 che restringe la tipologia dei pazienti ai quali sarà possibile erogarli: Sclerosi multipla, dolore cronico di origine neurologico, dolore oncologico refrattario alla morfina e Sindrome di Tourette. Ulteriori disposizioni, deliberate a livello di Asl, restringono la prescrizione ai pazienti «ospedalizzati» (ma così non si aumentano i costi a carico del Servizio Sanitario Regionale?) afferenti ai Dipartimenti di oncologia, neurologia e cure Palliative. Ma il vincolo dell’ospedalizzazione va contro quanto dichiarato dal ministro Livia Turco nell’audizione al Parlamento nel lontano 2007, ai tempi del Decreto di modifica delle Tabelle sulle sostanze stupefacenti previste dal Dpr 309, che aprì la strada all’uso terapeutico della cannabis: «Considerato che la scienza medica considera il dolore come patologia a sé stante che dev’essere curata in quanto tale, e che si sta affermando, a livello scientifico, il valore terapeutico della cannabis, sulla base delle evidenze che documentano l’efficacia di questa sostanza per i malati di cancro e Aids e nelle patologie neurodegenerative, quali sclerosi multipla, morbo di Parkinson, epilessia, glaucoma e artrite reumatoide; e visto che molti Paesi tra i quali Usa, Canada, Regno Unito, Germania, Belgio, Olanda, Svizzera, Israele e Sudafrica hanno reso disponibili ai malati i medicinali cannabinoidi, si auspica che anche in Italia si possa disporre  di questi farmaci, regolarmente autorizzati all’immissione in commercio, prescritti tramite l’utilizzo della normale ricetta medica e resi  comunemente reperibili nelle farmacie». Di fatto, la reperibilità dei cannabinoidi in farmacia è l’unica modalità di accesso in linea con quanto avviene in altri paesi, conforme alle caratteristiche di grande sicurezza della cannabis, e davvero rispettosa dei bisogni dei malati.

«Perché, allora, queste “restrizioni”, queste limitazioni e, soprattutto, questo ritardo nell’adozione di provvedimenti amministrativi atti a renderli “terapie appropriate» come hanno fatto tanti Paesi, in base alle evidenze derivanti dagli studi sull’efficacia pubblicati? Si sta perpetuando il pregiudizio  verso l’uso dei cannabinoidi, così come è avvenuto per la morfina, creando gravi disuguaglianze e rendendo l’accesso alla terapia del dolore, piuttosto che un diritto, quasi un’elargizione benevola? E come mai la Regione Toscana che quando vuole – e lo ha dimostrato recentemente nel caso della fecondazione eterologa-riesce a decidere tempestivamente e autonomamente, non è in grado di superare le resistenze che  ostacolano l’accesso alle terapie con la cannabis?

*sociologa, Forum Droghe