A metà novembre il Corriere della Sera ha ritenuto opportuno pubblicare in prima pagina una lettera che accusava il Comitato promotore del referendum cannabis legale di vilipendio alla bandiera per aver osato sovrimporre la foglia a sette punte nel bianco del tricolore.

Da quando alla fine del 2006 l’Italia ha legalizzato la prescrizione di cannabinoidi per uso terapeutico, la cannabis è entrata nella vita di migliaia di persone con problemi di salute e che, magari, fino ad allora, l’avevano considerata una droga. Forse “leggera” ma sicuramente l’avevano sentita presentare sempre come una droga. Il neutro «cannabis» al posto del criminale «marijuana» o l’esotico «hashish» ha contribuito a rendere la pianta il simbolo di scelte mediche, o auto-terapeutiche, sempre più diffuse e rivendicate.

Negli ultimi anni, sempre più frequentemente, la musica hip hop, trap e trip hop, quella con miliardi di streaming e visualizzazioni su youtube, ha fatto emergere la presenza della pianta in quelle che una volta si sarebbero chiamate contro o subculture giovanili ma che oggi sono presenze scontate nella quotidianità di milioni di persone.

Cantanti e produttori, raramente oltre la trentina, da meri influencer sono diventati maître à penser che preoccupano la politica e i media vecchio stampo perché con uditori paralleli rispetto a quelli tradizionali. La potenza di questi messaggi è tale e tanta da scavalcare i blocchi imposti dai social network a determinate parole o immagini. Malgrado le tradizionali rigidità istituzionali, la cannabis è tornata a essere una componente strutturale e sempre più visibile della cultura italiana oltre che delle nostre colture tipiche.

Non sappiamo quante siano le ricette che da 15 anni prescrivono cannabis per fini terapeutici; è invece noto che dal 2014 presso lo Stabilimento Farmaceutico Militare di Firenze è iniziata una produzione di infiorescenze. Il timido progetto pilota è stato poi confermato con risorse crescenti ma con una produzione largamente insufficiente. La domanda diffusa ha portato il fabbisogno stimato dall’Onu per l’Italia a tre tonnellate. Nonostante l’aumento dell’importazione dall’Olanda e l’indizione di gare d’appalto straordinarie vinte da aziende non europee, lo Stato non riesce a garantire quantità costanti di prodotti creando problemi a migliaia di persone che grazie alla pianta hanno migliorato la qualità della loro vita o la convivenza con la malattia.

Dal 2016 è stata di nuovo resa legale la coltivazione di canapa con bassissimi livelli di principi attivi per fini industriali recuperando così una tradizione che negli anni Cinquanta vedeva l’Italia seconda solo all’Urss, in quanto a produzione per cordami, tele e altro. La storia patria racconta come Cavour la coltivasse nelle sue tenute, mentre le brache di Garibaldi, ora custodite al Museo Centrale del Risorgimento al Vittoriano, sono un esempio di impiego non psicoattivo della pianta.

Sempre nel 2016, a sostegno dei vari disegni di legge sulla cannabis presentati in Parlamento e dell’intergruppo arrivato a superare le 300 adesioni, le associazioni che annualmente pubblicano il Libro Bianco sulle Droghe consegnarono alla Camera oltre 67.000 firme a sostegno di una proposta di legge d’iniziativa popolare per una regolamentazione legale della produzione, uso, scambio e commercio della cannabis e dei suoi derivati. Anche se l’allora maggioranza decise di non portare a termine l’iter parlamentare, per la prima volta nella storia della Repubblica si arrivò a un dibattito in Aula alla Camera.

Di tutto questo non si trova traccia nei lavori della VI Conferenza Nazionale sulle droghe del 27 e 28 novembre. Si è tenuto un tavolo sulla cannabis terapeutica, ma niente di più. Le dimensioni culturali della pianta sono state totalmente silenziate. E, stando a quanto discusso, la mancanza cronica di prodotti, la qualità e la quantità della cannabis “made in Italy” o di quella importata, le licenze per la distribuzione o la promozione di formazione, e l’informazione del personale specializzato o dell’utenza in generale sono rimasti auspici. Forse si parlerà di un’agenzia nazionale per la cannabis.

Stesso trattamento è stato riservato al ritaglio in tre parti della 309/90 previsto dal Referendum sulla cannabis che, col sostegno di oltre 630.000 firme, è stato depositato in Cassazione un mese prima della tenuta della Conferenza nazionale. Vista quest’assenza non sapremo come si porrà il Governo di fronte al referendum. La Ministra Dadone non ha firmato il referendum, questa sua “neutralità” caratterizzerà l’esecutivo in Corte Costituzionale quando dovrà esser decisa l’ammissibilità del quesito?

Ragionevolmente, se non razionalmente, l’onere della prova dovrebbe esser in capo a chi ha creato buona parte dei problemi di cui si discute e non su chi da anni elabora proposte di governo di un fenomeno di massa come quello dell’uso della cannabis.

Il Corriere della Sera, qualche giorno dopo, ha ospitato una replica del Comitato per il referendum. A pagina 37. Fino a quando la gerarchia della visibilità resterà questa, il confronto non potrà essere ad armi pari.