Si è dimesso per protesta, il relatore della legge sulla cannabis legale dopo che ieri la commissione Affari sociali ha licenziato il testo relativo al solo uso terapeutico bocciando tutti gli emendamenti presentati da Sinistra Italiana, Movimento 5 Stelle e Mdp. L’onorevole Daniele Farina ha tentato fino all’ultimo di dare un senso al lungo tempo speso alla Camera – quattro anni – a discutere sulla legalizzazione della sostanza, considerata ormai necessaria anche dalla maggior parte dei magistrati che indagano sul traffico degli stupefacenti, a cominciare dalla Direzione nazionale antimafia.

E invece il testo che dovrebbe andare in Aula domani (ma che potrebbe slittare più verosimilmente alla settimana prossima) dopo aver ricevuto il parere delle altre commissioni, «non risponde alle richieste e alle aspettative ed è molto distante dalla discussione pubblica di questi anni nel nostro Paese e dalle esperienze concrete ormai diffuse in diversi Stati del mondo. Per fare una legge così – denuncia il deputato di Si – non servivano 4 anni di lavoro, due commissioni congiunte, tante energie e tante risorse: bastano sei mesi».

«Per queste ragioni – continua Farina che è stato subito sostituito nel suo ruolo di relatore dal dem Alfredo Bazoli – ho ritenuto di presentare le dimissioni da relatore, in modo da lasciare più liberi sia me che il gruppo di Si-Possibile, nel confronto in Aula, e far sì che ciascuno possa prendersi la responsabilità delle proprie posizioni davanti al Paese». A cominciare dal Pd, che sulla legalizzazione della cannabis aveva inserito la retromarcia già a luglio, quando aveva deciso di accantonare la proposta di legge sottoscritta dall’intergruppo parlamentare promosso dal radicale Benedetto della Vedova (a cui aderiscono un centinaio di democratici) e di schierarsi con Lega, Ncd e Forza Italia in favore del testo messo a punto dalla co-relatrice Margherita Miotto e che norma soltanto l’uso medico della marijuana.

Il renziano Roberto Giachetti, primo firmatario del testo originario, con un post su Facebook prende atto di non essere riuscito a far prevalere nel suo partito la linea antiproibizionista. «Mi adeguerò alle decisioni prese», dice promettendo però «una battaglia ancora più vigorosa e convinta dentro al partito per consentire che nella prossima legislatura la nostra posizione cambi».

Il testo licenziato ieri dalla commissione è peraltro «debole» anche nell’ambito dell’uso terapeutico, come denunciano Si e M5S che si sono visti bocciare tutte le loro proposte di normare l’autocoltivazione, di eliminare le sanzioni amministrative, di introdurre i social club sul modello spagnolo e il monopolio di Stato. Unica correzione accolta è quella che allarga ad «altri enti e imprese» la coltivazione di marijuana e la sua trasformazione in farmaco fin qui riservate solo allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, che comunque manterrà il monopolio della distribuzione. Qualora lo si ritenesse necessario, il ministero della Salute potrà autorizzare con un decreto le case farmaceutiche private, come avviene per tutti gli altri medicinali della terapia del dolore. Esclusa invece l’autocoltivazione, neppure se attuata da quei malati che hanno diritto alla copertura totale da parte del Sistema sanitario nazionale.

«È definitivamente morto in Parlamento il tentativo di legalizzare la cannabis», esulta il senatore Maurizio Gasparri commentando una legge che secondo il M5S «favorisce la criminalità», e secondo i Radicali italiani è «un sollievo per le mafie» perché insiste nella «criminalizzazione della cannabis e dei milioni di cittadini che la consumano».