La sentenza interviene su una vicenda (una delle tante) relativa alla coltivazione di piante di cannabis. Coltivazione domestica, accertata a seguito di una perquisizione avvenuta nell’agosto 2016. Si trattava di una ventina di piante con discreto contenuto di Thc; già pienamente sviluppate. Niente quindi a che vedere con vicende di piante prive del principio attivo perché non ancora giunte a maturazione.

X (così lo chiamiamo) dichiara che l’uso della cannabis è per fini terapeutici.

Successivamente alla perquisizione  entra in vigore la normativa trentina che prevede in determinati casi – rigorosamente accertati e documentati dall’Azienda Sanitaria – l’erogabilità di preparazioni galeniche a base di cannabis con costi a carico del Servizio Sanitario.

X si era fatto visitare prima all’Istituto C. Besta di Milano e poi da specialisti trentini ottenendo da subito l’idoneità alla cura mediante preparati galenici a base di cannabis, in ispecie Bedrocan (c.a. 22%  di Thc).

X ha deciso di affrontare il processo a suo carico e difendersi; all’esito è stato assolto. Il processo accerta, con perizie e testimonianze, l’appropriato utilizzo della cannabis terapeutica ai soli fini di cura e considerando l’inefficacia delle terapie convenzionali.

La difesa conclude fornendo al Giudice quattro  possibili soluzioni:

1) Il fatto contestato non costituisce reato in quanto esercizio del diritto alla salute, diritto fondamentale riconosciuto in Costituzione.

2) In subordine, pronuncia di assoluzione perché il fatto non costituisce reato in quanto compiuto in stato di necessità determinato dal grave stato di salute dell’imputato.

3) In ulteriore subordine, che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della norma che sanziona penalmente ogni forma di coltivazione di sostanza stupefacente a prescindere dalla destinazione del prodotto, essendo il pericolo di diffusione (elencato tra i beni tutelati dall’incriminazione come indicato dalle Sezioni Unite Penali, Kremi 1998) comunque possibile e comune alle condotte di detenzione, trasporto e importazione (non rilevanti se ad uso esclusivamente personale).

4) In alternativa che comunque il Tribunale valuti la opportunità di interpretare la norma assecondando il principio costituzionale di ragionevolezza (c.d. interpretazione costituzionalmente orientata), come auspicato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 443/1994 (auspicio non considerato dalla successiva giurisprudenza), al fine di limitare l’ambito del penalmente vietato alla sola coltivazione finalizzata allo spaccio.

Il Giudice recepisce l’ultima tesi difensiva proposta attribuendo alla nozione di “coltivazione” un significato ristretto e conforme ai principi e al dettato costituzionale. Accogliendo gli spunti della Corte Costituzionale il Giudice colloca anche la “coltivazione” all’interno della cintura protettiva del consumo, escludendo rilevanza penale se finalizzata all’uso esclusivamente personale.

La sentenza riconosce che «l’attività di coltivazione e detenzione  era priva di qualsiasi finalità di spaccio, sicché difetta un elemento costitutivo della fattispecie, con conseguente assoluzione perché il fatto non sussiste».

Questa sentenza sovverte i principi consolidati della giurisprudenza che punisce la coltivazione, a prescindere dalle finalità a cui è destinata (spaccio / uso personale), tracciando una nuova strada per l’interprete sulle orme del principio affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza sopra citata.

Non è secondario che ci sia stata richiesta di assoluzione anche della Procura. Ed è anche importante che la Procura Generale non abbia proposto impugnazione avverso questo provvedimento, facendolo diventare irrevocabile.

Questa sentenza, spero, possa fare storia.