La riforma della legge elettorale comincia oggi pomeriggio alla camera un percorso che i suoi sostenitori, una neo maggioranza che mette assieme Pd, Forza Italia, Lega e centristi, vuole abbreviare al massimo. Gli emendamenti non sono molti, circa duecento, ma alcuni – come quelli in favore delle preferenze, del voto disgiunto e per un’effettiva parità di genere – sono assai insidiosi, visto che il regolamento di Montecitorio ammette il voto segreto. Una modifica al testo sul quale si è cementata l’intesa in commissione vorrebbe dire il crollo del Rosatellum-bis, destino già capitato a giungo al precedente tentativo (il cosiddetto Toscanellum). E così in discussione non ci sono tanto le modifiche a questo sistema che prevede una minoranza di collegi uninominali (232) necessari a indirizzare le scelte sul resto di collegi proporzionali, con liste bloccate e divieto di voto disgiunto. In discussione c’è il Rosatellum o il ritorno al sistema adesso in vigore, diverso per camera e senato e frutto di due sentenze della Corte costituzionale. Perché possa andare in porto questa riforma che penalizza i 5 Stelle e la sinistra non alleata del Pd, e regala a Renzi e Berlusconi due finte coalizioni, i democratici e i loro alleati dovranno forzare ancora le regole.

IL MODELLO È L’ITALICUM, caduto poi sotto i colpi della Corte costituzionale, anche se non per il fatto di essere stato approvato con la fiducia (perché nessun tribunale ha accolto questo ricorso, cosa che potrebbe però accadere prima delle prossime elezioni). Dunque fiducia o emendamenti canguro. Che sono in pratica un riassunto per punti della legge – così fu l’emendamento Esposito al senato per l’Italicum – da approvare in premessa, in modo da far cadere tutte le successive proposte di modifica. Un trucco che viola due principi: gli emendamenti dovrebbero avere un contenuto prescrittivo e andrebbero votati a partire da quelli che più modificano il testo base.
Questo genere di manovre per aggirare gli emendamenti dell’opposizione, tanto più quando questi emendamenti sono in numero assolutamente ragionevole, strappano regole e prassi parlamentare. La fiducia sulle leggi elettorali fino al 2015 aveva solo due precedenti, il primo risalente al fascismo e il secondo – la legge «truffa» del ’53 – necessario alla Dc per battere un’ostruzionismo di cui adesso non c’è traccia. Ma oltre due anni di battaglia sulle riforme renziane – legge elettorale e revisione della Costituzione – hanno parecchio spostato i confini del lecito. La fiducia c’è già stata, su tre articoli dell’Italicum e proprio alla camera, perché ritenuta ammissibile dalla presidente Boldrini malgrado quanto stabilito dall’articolo 72 della Costituzione: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale». Da notare che successivamente fu proprio Renzi a dire che non gli era stato possibile mettere la fiducia sulla riforma costituzionale a causa di questo articolo della Carta, che però equipara leggi costituzionali e leggi elettorali.
Per l’Italicum si era all’ultimo passaggio dopo oltre due anni di esame parlamentare, non al primo come in questo caso per il Rosatellum. Allora, come sarebbe oggi, la fiducia fu chiesta per evitare modifiche al testo nei voti segreti, non perché si temesse per il via libera finale. Che infatti ci fu proprio con voto segreto.

CHIAMATO IN CAUSA da una serie di lettere dell’opposizione – anche Lega e Forza Italia che adesso non si scandalizzano – il presidente Mattarella spiegò che era faccenda da regolamenti parlamentari, dando così il via libera alla fiducia. Ma l’interpretazione del regolamento della camera, dove un articolo nega la possibilità di mettere la fiducia quando è prescritto il voto segreto, che nel caso delle leggi elettorali è sempre possibile – è a tal punto controversa che la stessa presidente Boldrini riconobbe la «logica» degli argomenti dell’opposizione. E affidò la questione a una revisione del regolamento, che non c’è stata.
La fiducia potrebbe essere più utile al senato, dove i numeri per la neo maggioranza sono molto più stretti, che alla camera, dove però ci sono i voti segreti. Oltre che più giustificabile, anche per partiti di opposizione a Gentiloni, visto che a palazzo Madama andrebbe in scena l’ultimo atto della legislatura. Due anni fa, oltre al nucleo bersaniano, anche un pezzo del Pd non passato a Mdp si rifiutò di votare la fiducia sulla legge elettorale (Bindi, Cuperlo). Ma oggi, forti di circa duecento voti di vantaggio ottenuti anche con i piccoli gruppi (verdiniani, fittiani, ex montiani), Pd e Forza Italia devono temere non tanto l’opposizione organizzata quanto i franchi tiratori guidati dal calcolo personale. I deputati Pd del nord e berlusconiani del centrosud hanno tutto da perdere dal Rosatellum. Da tenere d’occhio le iniziative individuali. Tra i primi emendamenti a rischio quello della forzista Biancofiore contro le regole speciali per il Trentino Alto Adige. A giugno fu lei, con i 5 Stelle, ad aprire la porta all’imboscata.