Ieri sono tornato a Napoli. Prima di abbandonarci alla meritata primavera che il calendario ostinatamente segnala, ai piedi delle Alpi il freddo è tornato a pungere, e così cerco caldo con una distinta voglia di toccare un poco di sole verace, sfacciato, d’incontrare le fiumane di persone che camminano per strada, di farmi accarezzare dalla sveltezza del dialetto parlato, smozzicato, arrotolato. Purtroppo resterà una manciata di ore, volo di andata la mattina e rientro al tramonto. Nel mezzo un cielo sconfinato senza nemmeno un’ipotesi di nuvola, la visita ai giardini che circondano il Museo di Capodimonte e i lunghi viali che delineano il Real Bosco. Mancavo da alcune stagioni. La sera prima in televisione davano Io spero che me la cavo che ogni volta mi commuove. E se è vero che Napoli è anche una città di persone spavalde, è pur vero che è anche un habitat di animi accorati e commoventi. Forse è una città che si è imborghesita meno di altre, di certo meno delle città del nord Italia alle quali sono abituato.

TORNO A NAPOLI PER GLI ALBERI, come già c’ero stato in passato quando scrivevo i miei silvari, I giganti silenziosi (uscito poi per Bompiani) e L’Italia è un giardino (Laterza). A quel tempo visitai Capodimonte in solitaria, volevo anzitutto fare conoscenza col Bosco di lassù, così tanto celebrato nelle guide e nei libri, e poi visitare alcuni alberi di cui si favoleggiava, come una fatidica e gigantesca canfora. Ma si dice canforo o canfora? Albero di canforo o albero di canfora? Il dubbio continua a permanere. Avevo visitato i giardini che circondano l’edificio del Museo, ed infatti avevo avvicinato ed ammirato la canfora, ai piedi della quale stavano due ragazzi innamorati, giovanissimi: lui strimpellava una chitarra, e lei lo accompagnava. Ogni tanto si baciavano. Mentre fotografavo, prendevo la misura della circonferenza del tronco nel punto più stretto e mi appuntavo notazioni riguardanti architettura, numero di branche, probabile altezza ed età stimata, loro due continuarono a vivere come se il resto del mondo non esistesse, me compreso.

DA ALLORA QUANDO LA PENSO LA CHIAMO la canfora degli innamorati. In Italia esistono diverse canfore considerate monumentali, penso agli esemplari di Genova, a Villa Pallavicini, alle canfore del parco di Villa Negrotto Cambiaso, in quel di Arenzano, sempre in Liguria, e poi alle diverse grandi canfore che costellano località del Lago Maggiore, nei comuni di Stresa, Oggebbio e Ghiffa, o sulle Isole Borromee. La canfora è stata importata in Europa nel corso del XVIII secolo, in natura esistono duecento specie e questa, la Cinnamomum camphora, arriva da Cina e Giappone, ed infatti ho incontrate due enormi esemplari ultramillenari accanto a templi nella città di Atami e nei dintorni di Kagoshima, nel sud nipponico. L’olio essenziale, usato nelle nostre case per lungo tempo come tarmicida, veniva ricavato macinando le foglie e le cortecce.

LE CANFORE S’INGROSSANO rapidamente, hanno cortecce striate verticalmente, un colorito grigiastro con qualche nervatura calda, e chiome vaste, copulose, che in estate brillano di migliaia di foglie profumate, verde chiaro brillante. Dalla base spesso si sollevano due o tre grosse branche, e non è raro vederne innalzarsi fino ad una ventina di metri. La canfora del Giardino dei Principi, così chiamato poiché sorge a lato di un edificio noto come Palazzina dei Principi. Questo esemplare posa su una corona radicale ben evidente, compone un tronco che nel punto più stretto misura 670 cm, e si spalanca, come un enorme fiore, in quattro direzioni. La prima volta era in penombra, in un punto dei giardini che suggerisce meditazione, silenzio, ascolto. Ora invece trovo lavori in corso, la terra è rivoltata e si stanno svolgendo grandi manovre di restauro.

NEGLI ULTIMI ANNI L’ELENCO degli alberi monumentali della Campania si è rimpolpato, nel giro si è passati da una ottantina a 178 ed ora oltre quota 200 esemplari riconosciuti e protetti, e di questi 44, stando all’ultimo elenco pubblicato sul sito istituzionale, sono documentati entro i confini del capoluogo. I nuclei più nutriti si trovano ovviamente all’Orto botanico, fondato nel 1807, quindi nei giardini della Mostra d’Oltremare, a Piazza Vittoria a Chiaia, nel chiostro dell’Accademia delle Belle Arti e infine a Capodimonte, dove radicano dodici alberi eccezionali, tra i quali magnolie, eucalipti, tassodi, tassi, platani e due canfore, non una.

E DOVE STA QUESTA SECONDA PIANTA? Si tratta di un terreno chiuso al pubblico, all’estremità del Real Bosco, la Fruttiera Reale, detto in seguito Giardino Torre per la presenza di un edificio a forma di torre, quasi metafisico, laddove è rimasto l’ultimo esempio di giardino utile così come se ne vedevano a fine Settecento, alberi da frutta e verzure, prima della rivoluzione del giardino estetico o decorativo, all’inglese, coi viali, le rovine, i tempietti in stile neoclassico, le statue e tutti quegli elementi che connotano i grandi giardini italiani ed europei moderni. Qui visitiamo una canfora ancora più grande di quella precedente: anzitutto la base, non un imbuto che si apre al cielo ma tre grosse branche primarie che si sollevano, la centrale pesantemente tagliata, credo a seguito di un crollo dettato dalla forza del vento, mentre le superstiti vanno a comporre una chioma molto ampia. Due rami esterni pendono su una vasca circolare e sono sorretti da altrettanti sostegni.

CHI LE HA STUDIATE MI FA LA CORTESIA di riportare i dati: 730 cm la circonferenza del tronco, chioma vasta circa 450 metri quadrati, altezza oltre venti metri. È uno splendore. Età stimata: duecento anni, coeva dunque degli alberi annosi presenti nei giardini attorno al Museo, e d’altro canto quella zona venne sistemata e arricchita dal capo-giardiniere dell’Orto botanico a partire dal 1840, un secolo dopo l’inizio dei lavori di costruzione del sito per volontà del Re di Napoli, Carlo Borbone. Quel valente botanico tedesco si chiamava Federico Dehnhardt, e fu probabilmente lui a disseminare i giardini della città di esotismi, quali araucarie, palme, ficus, alberi bottiglia e appunto canfore, presenti non soltanto in diversi punti del tessuto urbano ma anche a Caserta, ad Afragola, a Portici.

OLTREMODO FU IL PRIMO STUDIOSO a descrivere l’Eucalyptus camaldulensis, in Australia noto come Red Gum o River Red Gum, avvistato sulla collina dell’eremo di Camaldoli, dove era stato probabilmente piantato a inizio Ottocento grazie a semi inviati in giro per il globo dal botanico Allan Cunningham, colui che diede nome ad una delle più conosciute e diffuse araucarie. L’elenco regionale è consultabile alla pagina: www.agricoltura.regione.campania.it/foreste/monum/alberi_monumentali_index.html.

NEL 2021 IL MINISTERO DELLE POLITICHE Agricole, alimentari e forestali (Mipaf) ha pubblicato un atlante dei grandi alberi della Campania, a cura di Silvana Boschi e Salvatore Apuzzo, scaricabile gratuitamente: www.agricoltura.regione.campania.it/comunicati/comunicato_15-01-21.html

INFINE, E’ NOTIZIA FRESCA: TRA POCHI MESI il Giardino Torre verrà restituito al curioso visitatore, e dunque sarà possibile andare a visitare anche questa misteriosa canfora che nel frattempo potete ammirare in mia compagnia nella foto allegata. Anche questo è segno del rinnovato slancio che la nuova direzione del Museo ha impresso, nonché dell’operosità di realtà di specialisti e appassionati che collaborano, quali la ditta Euphorbia, responsabile della manutenzione e della divulgazione delle caratteristiche storiche, botaniche e culturali dei 134 ettari di estensione del Real Bosco e dei giardini di Capodimonte.