«Il referendum sulle Olimpiadi è domenica prossima. Se vince la Raggi il sogno olimpico è finito. Lo ha detto lei. Rispetterò il vostro voto. Ma quando entrate in cabina elettorale, pensateci». Il post pubblicato ieri su facebook da Roberto Giachetti non lascia margine a dubbi: il Radicale che si candida a sindaco di Roma su mandato di Renzi, e che il 19 giugno se la vedrà al ballottaggio con la rappresentante del M5S in vantaggio al primo turno di una decina di punti percentuali, sconfessa di fatto il vero referendum sulla candidatura italiana ai Giochi olimpici del 2024. Quello promosso dai suoi stessi compagni di movimento. E lo fa proprio nel giorno in cui Radicali italiani e Radicali Roma danno il via, con un gazebo e una conferenza stampa in largo di Torre Argentina, alla raccolta firme.

Eppure Riccardo Magi, che della prima associazione è segretario e che potrebbe entrare – unico della lista Radicale – in consiglio comunale solo se il suo candidato Giachetti avesse la meglio su Raggi, fa buon viso a cattivo gioco e reitera a entrambi gli sfidanti l’invito a sottoscrivere il referendum: «In questa ultima settimana di campagna elettorale pensiamo di andare proprio da loro a formulare questa proposta», annuncia. E insiste su quello che è sempre stato un pallino radicale: «Da una parte abbiamo Giachetti che si è detto favorevole alla candidatura ma anche al rafforzamento degli strumenti di partecipazione dei cittadini – ha spiegato Magi in conferenza stampa – Dall’altra abbiamo Raggi, esponente di un movimento che vede nella partecipazione diretta addirittura le fondamenta del M5S. Purtroppo negli ultimi giorni abbiamo assistito a un andamento ondivago da parte degli esponenti a Cinque stelle. Perché c’è così paura da entrambe le parti di ascoltare la voce dei cittadini?».

Qualche giornalista riferisce a Virginia Raggi e lei prende tempo: sottoscrivere il referendum? «Ci lavoreremo, sì ci penseremo», risponde.

La verità è che nessuno – nessuno – dei candidati a sindaco, né i loro partiti, hanno supportato la proposta di consultazione popolare lanciata dai Radicali. I quali, inspiegabilmente, si ritrovano troppo soli anche nella raccolta firme, non affiancati nemmeno da quei tanti movimenti di sinistra che pure si dicono contrari alla candidatura olimpica di Roma. E sarà un duro lavoro, il loro: hanno tre mesi di tempo, fino al 10 settembre, per raccogliere le 28.683 sigle necessarie per tenere il referendum, pari all’1% della popolazione residente nella Capitale.

Il Coni è riuscito a far slittare l’avvio della campagna e tra poche settimane la città comincerà a svuotarsi. «Se iniziamo oggi la sottoscrizione non è per nostra responsabilità – spiega Magi – fosse stato per noi lo avremmo fatto un anno fa, o comunque avevamo considerato di raccogliere firme tra maggio, giugno e luglio. Si è perso ulteriore tempo perché il Coni ha cercato di impedire questo referendum e solo venerdì dal Campidoglio ci è stata data la possibilità di iniziare grazie alla vidimazione dei moduli. Lo dico per rispondere direttamente al presidente del Coni Malagò, secondo il quale ormai è troppo tardi per avviare un referendum: non è così». Se c’è la volontà politica potrebbe essere accorpato, per esempio, al referendum costituzionale di ottobre, dice Magi, ma più che una proposta sembra una provocazione. In ogni caso, il battage informativo è fondamentale: «Nelle prossime ore scriveremo alla commissione di vigilanza Rai, all’Agcom, a tutte le testate e alle emittenti tv perché è dirimente e decisivo che i cittadini possano conoscere l’esistenza di questa iniziativa».

Soprattutto, bisognerebbe aprire un vero dibattito pubblico su questo “sogno olimpico” che tutti, in teoria, potremmo anche serbare. Se non fosse che tra i punti critici del dossier per la candidatura che il comitato promotore ha inviato al Cio e che presentò a Roma, il 17 febbraio scorso, c’è il “budget”. «Per Malagò è il più basso della storia», ricordano i Radicali. Montezemolo infatti spiegò, al Palazzo dei Congressi, che il progetto per competere con Los Angeles, Parigi e Budapest costa «per gli impianti permanenti, 2,1 miliardi, spesi in particolare per il villaggio olimpico, il main press center, la cycling arena, il parco naturalistico, lo stadio Flaminio e le vele di Calatrava» e «3,2 miliardi per impianti temporanei e costi di gestione», coperti però – assicurò Montezemolo – dal contributo del Cio («un miliardo, nel caso peggiore»), dai biglietti venduti, merchandising e sponsor. Per Il Messaggero, quotidiano del gruppo Caltagirone, poi, le Olimpiadi saranno «a costo zero per le casse del Campidoglio» perché quei 2,1 miliardi verrebbero stanziati attraverso la legge di Stabilità 2017 dal Tesoro, con tranche di 140 milioni di euro l’anno.

Magi invece avverte: «In base ad altre stime in nostro possesso, si arriva a 8 miliardi, la maggior parte dei quali concentrati su Tor Vergata». E a questo proposito: «Che fine faranno i 17 mila posti letto costruiti nel villaggio olimpico?», chiede Magi. Giachetti ha già risposto, durante l’”intervista” con Renzi: saranno adibiti a residenza per ospitare le famiglie dei pazienti al policlinico Tor Vergata e anche – aggiunse, perché i conti sanno farli tutti – i richiedenti asilo. Lo scenario della «legacy», il pesante «lascito» dei Giochi alla Capitale, diventa sempre più chiaro.