È una decisione che ha sorpreso tutti, sia a destra che a sinistra, quella della ex presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner, “Cfk”, di rinunciare alla candidatura presidenziale presentandosi appena come vice di Alberto Fernández, già capo di gabinetto del governo di Néstor Kirchner e, per un anno, anche del suo, alla elezioni previste per il 27 ottobre.

UN’INDICAZIONE, quella dell’«altro Fernández» – noto per le sue spiccate doti di conciliatore e per il suo profilo conservatore e pragmatico – che ha suscitato a sinistra reazioni contrastanti. I sostenitori dell’inattesa mossa di Cfk lo descrivono come la figura più adatta a costruire un’ampia alleanza sociale e politica in grado non solo di schiacciare il macrismo nelle urne, ma anche di assicurare governabilità a un paese nuovamente in rovina e magari pure a rinegoziare con il Fondo monetario internazionale i termini del disastroso accordo firmato dall’attuale presidente Macri.

Si tratta, per loro, del candidato giusto per rassicurare i mercati senza rompere con i movimenti popolari, secondo la diffusa convinzione che «senza Cristina non si può, ma con Cristina non basta». Perché, se Cfk è la figura con il maggior grado di consenso, è anche quella con il più alto tasso di rifiuto da parte degli elettori, dovendo oltretutto rispondere a una dozzina di cause per corruzione – nel quadro di una persecuzione giudiziaria denunciata da più parti -, la prima delle quali si apre proprio oggi.

A SINISTRA, però, non sono in pochi a ritenere che Alberto Fernández non sia in grado di assicurare neppure le timide, insufficienti e fortemente contraddittorie misure progressiste adottate in 12 anni di kirchnerismo.

Non a caso, ricordano, è stato sempre accusato di essere legato a doppio filo con la multinazionale Repsol e, soprattutto, con il Gruppo Clarín, opponendosi alla legge sui media varata da Cfk a favore di una maggiore tutela del pluralismo e del diritto all’informazione.

Neanche all’interno del macrismo ci si aspettava una tale decisione da parte di Cfk. Poche ore dopo l’annuncio, il presidente Mauricio Macri si limitava a ripetere la sua solita cantilena: che, cioè, «tornare al passato significherebbe autodistruggersi», in quanto «stiamo cambiando le cose a fondo, rimuovendo le radici marce».

Ma in attesa che la maggioranza ricalibri la sua strategia in funzione del nuovo scenario politico, è facile indovinare su quali argomenti farà leva. «Alberto Fernández – ha subito evidenziato il deputato macrista Pablo Tonelli – non è un candidato attrattivo per l’elettorato. E io non riesco a immaginarmi Cristina in un ruolo secondario. È chiarissimo che a governare sarà la ex presidente».

DIFFICILE TUTTAVIA PENSARE che Alberto Fernández possa farsi agevolmente manovrare, avendo lasciato il governo di Cfk dopo appena un anno proprio per le sue divergenze con la presidente, per poi criticarla duramente per tutti gli anni successivi – al punto da votare scheda bianca al ballottaggio del 2015 tra Scioli, il candidato kirchnerista, e Macri – fino al recente riavvicinamento.