Saranno gli eredi dei primi abitanti del paese a decidere l’esito delle elezioni canadesi? «Questa volta il nostro voto potrà fare la differenza», ha spiegato alla vigilia dell’apertura delle urne Perry Bellegarde, leader dell’Assemblea della Nazioni Autoctone che riunisce oltre 900mila dei 2 milioni di «indiani» del Canada.

«Non diamo delle consegne di voto, ma chiediamo ai membri del movimento di sostenere solo quei candidati che si impegnano sulle priorità della comunità: educazione, alloggi, lotta alla povertà e condizione delle donne».

Bellegarde non lo dice esplicitamente, ma il nemico numero uno delle popolazioni autoctone che vivono principalmente in piccoli centri rurali o in riserve poverissime come quella di Neskantaga, ancora priva di acqua corrente, è il premier conservatore Harper, accusato di aver sostenuto gli interessi delle grandi industrie che sfruttano e inquinano le aree tribali e di non aver fatto niente per migliorare le condizioni di vita di quelli che sono ancora oggi considerati come cittadini di serie B.

Harper si è anche rifiutato di istituire una commissione d’inchiesta, come chiedevano i rappresentanti delle Nazioni Autoctone, per indagare sul gran numero di donne indiane che sono state rapite o uccise nel paese, oltre 1200 dal 1980, in quello che appare come un femminicidio di massa paragonabile a quanto avvenuto a Ciudad Juarez, in Messico.

Dopo che tra il 2012 e il 2013 il movimento Idle Non More li aveva visti scendere in piazza per protestare contro i grandi progetti petroliferi che minacciavano i loro territori, gli autoctoni canadesi hanno deciso ora di far sentire per la prima volta il loro peso anche sul piano elettorale – in passato solo il 40% degli abitanti delle riserve partecipava al voto -, che potrebbe risultare determinante in almeno una cinquantina di collegi di tutto il paese.