Il ministro egiziano delle Finanze Ahmed Galal rende noto che sono stati stanziati quasi 500 milioni di ghinee (55 milioni di euro) a sostegno di piccoli proprietari terrieri e per la cancellazione dei debiti dei contadini. Quest’ultimo era uno dei cavalli di battaglia dell’ex presidente Morsi. Sebbene prevista per debiti fino a 1000 euro, la cancellazione effettiva non è mai entrata in vigore, accrescendo il malcontento nelle campagne per le promesse mancate degli islamisti. Questo provvedimento conferma quanto il nuovo governo cerchi di limitare il dissenso, ma l’impianto liberale dell’esecutivo difficilmente renderà possibile implementare le diffuse richieste di giustizia sociale degli egiziani.
Dietro le quinte proseguono gli incontri diplomatici. È attesa per oggi la delegazione dei senatori John McCain e Lindsey Graham. Ma la notizia che più conferma le divergenze interne agli Stati uniti sulla gestione della crisi vengono dalla nomina di Robert Ford, ex ambasciatore di Washington in Siria, al posto della silurata Anne Patterson, accusata di relazioni troppo ravvicinate con i Fratelli. Nonostante ciò, il capo delle Forze armate Abdel Fattah Sisi ha criticato Washington per aver voltato le spalle all’Egitto. In un’intervista al Washington Post, Sisi ha assicurato di non aspirare a candidarsi alle presidenziali. Mentre ha chiesto alle autorità americane di fare pressioni sugli islamisti per «porre fine» alla crisi.
Intanto il numero due della Fratellanza Khairat Shater ha rifiutato di incontrare il vice Segretario di Stato William Burns, l’inviato dell’Unione Europea Bernardino Leon e i ministri degli Esteri di Qatar ed Emirati arabi uniti. ricordando che solo Morsi è il legittimo presidente. Ma le trattative continuano su una bozza d’accordo che, secondo la stampa locale, prevede le dimissioni del premier Hesham Beblawi, e la formazione di un nuovo governo con tre ministri islamisti. In cambio, i Fratelli si impegnerebbero a disperdere i sit-in di Rabaa, Nahda e Heliopolis. Non solo, 50 islamisti dovrebbero prendere parte alla Commissione per la riforma costituzionale. Infine, la nuova legge elettorale non vieterebbe la partecipazione di partiti politici religiosi, mentre i processi dei leader della Fratellanza in prigione non dovranno essere «politicizzati», ma si dovrebbero svolgere con il ricorso ad indagini indipendenti.
Ma i Fratelli musulmani sono ancora sul piede di guerra. Il 25 agosto si apre il processo ai sei principali leader della Fratellanza, imprigionati per «incitamento alla violenza» dopo le manifestazioni contro l’ex presidente Morsi del 30 giugno scorso. Mentre hanno iniziato lo sciopero della fame 179 islamisti detenuti al Cairo. Tuttavia, Amnesty International, dopo aver denunciato le censure subite dalla Fratellanza, ha rilasciato un documento in cui parla di prove testimoniali di islamisti che hanno ferito e torturato oppositori di Morsi.