Julian Assange è prosciolto dall’accusa di stupro. In base a ciò il mandato di cattura per questo reato decade. A comunicarlo, ieri, una nota di Marianne Ny, responsabile della procura svedese, che nel Novembre scorso aveva incontrato e interrogato il fondatore di Wikileaks nel suo «rifugio» londinese, l’ambasciata dell’Ecuador, che lo aveva accolto dopo che Scotland Yard aveva annunciato, nel 2012, che lo avrebbe arrestato in base proprio alla richiesta della Svezia, paese dove si sarebbe dovuto svolgere il processo. Tempo due ore e Assange ha inviato un messaggio su Twitter, segnalando che un incubo durato sette anni era finito. Il tweet si conclude con un indignato e rabbioso: «Non perdono e non dimentico»
A stretto giro di post in Rete, il suo legale dichiarava che Assange poteva finalmente uscire come uomo libero dall’ambasciata, mentre la strada di fronte all’edificio si riempiva di sostenitori del fondatore di Wikileaks . Soddisfatto anche il ministro degli esteri ecuadoregno, che ha chiesto al governo inglese di consentire ad Assange di potere lasciare il paese. Pilatesca la risposta del premier conservatore Theresa May: «una decisione che spetta alla polizia e non al governo».

A gelare definitivamente gli animi, la dichiarazione di Scotland Yard sull’intenzione di arrestare comunque Assange se esce dall’ambasciata perché sul suo capo ci sono altri reati contestati. Nessuna precisazione su quali siano, anche se in molti nei social network ricordano la richiesta di arrestare Assange avanzata dagli Stati Uniti, dove pende sul suo capo l’accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale in quanto responsabile di Wikileaks, l’organizzazione di controinformazione on line che ha diffuso materiali e video compromettenti per l’operato dell’esercito americano in Iraq e per aver veicolato la diffusione dei materiali della Nsa avuti da Edward Snowden.

È ancora troppo presto immaginare l’evoluzione dell’affaire. In una improvvisata conferenza stampa-comizio, Assange ha annunciato che i suoi legali continueranno a lavorare con le autorità britanniche per trovare una soluzione a questa situazione. La derubricazione dell’accusa di stupro – commentata negativamente da una delle donne che ha accusato Assange di averla costretta a un rapporto sessuale non protetto, che per la legge svedese è equiparato a uno stupro – è considerata una vittoria da parte di Wikileaks. Inoltre, nei mesi scorsi Assange aveva mandato più volte segnali di voler intavolare una trattativa con le autorità statunitensi, paese dove il Pentagono e il Ministero della Giustizia lo considerano un pericolo per la sicurezza nazionale.

Che tra Wikileaks è e le autorità militari e politiche non corra buon sangue è cosa nota. In primo luogo perché Wikileaks ha diffuso materiali che mettono in pessima luce il Pentagono e i servizi di intelligence. Oltre la reiterata diffusione di informazioni sulle attività «segrete» della National Security Agency – spiare le comunicazioni di cittadini americani e sviluppare software «malevoli» per colpire i server di organizzazione e stati nazionali non amici -, anche la Cia è stata accusata di comportamenti illeciti dopo che sono stati resi pubblici sul progetto, denominato Athena, finalizzato allo sviluppo di programmi informatici capaci di colpire sistemi operativi e server di imprese e paesi «nemici». A farne le spese anche la Microsoft, che ha visto negli anni passati il suo sistema operativo Windows 10 attaccato proprio da un software prodotto all’interno del progetto Athena. Come altre volte Wikileaks ha passato le informazioni anche a giornali di diversi paesi (in Italia la notizia è stata diffusa da«la Repubblica»).

Negli Stati Uniti, Microsoft ha commentato duramente la notizia, sostenendo che le pressioni della Nsa, della Cia e delle altre agenzie di intelligence statunitensi per costringere le imprese a collaborare in programmi si controllo della Rete e di cyberguerriglia è diventata intollerabile.

Oltre Microsoft, anche Google e Apple sono entrate in rotta di collisione con l’intelligence americana. La posta in gioco è la sovranità sui rispettivi Big Data. Le imprese high-tech non li vogliono condividere perché li considerano loro proprietà anche se riguardano le attività comunicative degli utenti della Rete. L’intelligence rivendica invece l’accesso ad essi per garantire la sicurezza nazionale con buona pace dei diritti alla privacy. Tensioni che si sono moltiplicate nel corso del tempo, arrivando a rifiuto della Apple di ogni forma di collaborazione con la Fbi dopo la richiesta di avere le chiavi di accesso ai sistemi di sicurezza di un Iphone utilizzato da un terrorista islamico morto in un conflitto a fuoco con la polizia. Conflitti sempre più evidenti dentro il complesso militare-digitale con buona pace dei diritti individuali.