Con due sentenze ieri la Corte di Cassazione ha sia sconfessato (apparentemente) il governo sia confermato le sue radici. Per prima cosa, ha annullato la condanna a morte inflitta al deposto presidente Morsi, leader dei Fratelli Musulmani, e ordinato un altro processo. Imputato ad un’infinità di processi, quello per cui gli era stata inflitta la pena capitale riguarda un’evasione di massa dal carcere nel 2011, ordita – dice l’accusa – con soggetti stranieri tra cui Hamas.

In secondo luogo la Corte ha rigettato l’appello che si opponeva al rilascio dei figli di Mubarak, Alaa e Gamal. I due, con il padre, erano stati condannati a tre anni per truffa e uso di fondi pubblici. Secondo la corte, sommando gli anni di carcere preventivo a partire dal 2011, i due hanno già scontato la pena. A monte una più generale amnistia che ha salvato l’establishment dell’ex dittatore, di cui buona parte è colonna portante dell’attuale regime a cominciare dall’esercito.

La cancellazione della pena di morte per Morsi sembrerebbe a prima vista un colpo alla lotta alla Fratellanza Musulmana, pietra angolare della narrativa del regime, visto che cancella anche l’ergastolo per cinque co-imputati tra cui il leader spirituale del movimento, Mohamed Badie: dal massacro di Rabi’a dell’agosto 2013 (oltre mille sostenitori del gruppo uccisi) agli arresti di massa dei suoi membri fino alla messa al bando, Il Cairo del golpe ha intessuto relazioni esterne (in primis con il Golfo) e si è garantito il sostegno di molti partiti politici del paese (compresi quelli di sinistra) proprio grazie alla promessa di disinnescare il cosiddetto pericolo “islamista”.

Con la repressione della Fratellanza – migliaia di esili, omicidi extragiudiziali, arresti di cui gli ultimi 229 alle proteste di venerdì – al-Sisi giustifica il controllo capillare della società civile. In realtà la sentenza di ieri potrebbe servire i suoi interessi: l’eventuale condanna a morte accenderebbe proteste difficilmente controllabili in un periodo di surreale calma.

Il rischio di una sollevazione viene così elegantemente evitato mentre Morsi resta dietro le sbarre: rimangono infatti in piedi tutte le altre sentenze di ergastolo o a 40 e 20 anni inflitte per i casi di spionaggio a favore del Qatar e di Hamas e l’uccisione di manifestanti nel dicembre 2012.

Un colpo al cerchio e uno alla botte, confermato dal voto ieri della Camera che ha approvato la proposta di legge che pone le ong sotto il controllo governativo, obbligandole a registrarsi e ad accettare lo scioglimento se l’esecutivo le reputa pericolose.

Il regime non tira troppo la corda in un periodo di grave crisi economica e rabbia popolare – per ora – soffocata. Venerdì il Fondo Monetario Internazionale ha approvato i 12 miliardi di dollari di prestito in tre anni, ma in pochi credono in un miglioramento delle condizioni di vita. Soprattutto dopo la svalutazione del 48% della sterlina egiziana che ha fatto perdere ai salari più della metà del loro valore.