Il tweet non lascia spazio a dubbi: la perdita di carburante dalla #OlegNaydenov si diffonde tra le isole Canarie. Le foto di cetacei, tartarughe, uccelli marini imbrattati di catrame e delle prime spiagge già contaminate rimbalzano tra i social network.

L’affondamento, il passato 14 aprile, della nave russa Oleg Naydenov con più di 1.400 tonnellate di carburante a bordo, ripete il copione delle catastrofi ambientali e tiene in bilico l’arcipelago, sette isole vulcaniche nell’oceano Atlantico, parco della biosfera, riserva marina con la maggiore concentrazione di balene tropicali del pianeta, meta di milioni di visitatori tutto l’anno. L’ironia è che solo qualche mese fa gli abitanti delle Canarie pensavano di essere sfuggiti alla maledizione del petrolio.

La compagnia Repsol, autorizzata dal governo di Spagna a trivellare l’oceano di fronte alle isole di Fuerteventura e Lanzarote, nonostante il durissimo no della cittadinanza, aveva deciso di rinunciare, per non aver trovato né gas, né petrolio. Ecco invece che la bagnarola Oleg Naydenov con il suo carico di carburante in stiva, già rifiutata da altri porti, è stata inspiegabilmente ormeggiata in quello di Gran Canaria, dove si è incendiata. Rimorchiata al largo della costa è colata a picco e ora giace a 2.710 metri di profondità e da giorni disperde in mare il suo carico pari a 9.300 barili di petrolio.

A molti saranno venute in mente le rassicuranti frottole dei responsabili di Repsol e del ministro dell’industria Soria, in risposta al lungo elenco di rischi, in caso di incidente durante le trivellazioni, segnalati da cittadini, tecnici e associazioni. Rispondevano di probabilità di incidente bassissima e capacità di intervento immediata per ridurre i danni, ma la realtà ha dimostrato che erano proprio frottole. Come nelle ultime catastrofi, dal Golfo del Messico a Fukushima, anche in questa delle Canarie l’intera rete di comando, da quella tecnica a quella politica, è stata travolta dagli eventi in un delirio di approssimazione, confusione e sequela di errori.

Ora, come da copione, si minimizzano le conseguenze dell’incidente, ci si sottrae a qualsiasi controllo e si mobilita il volontariato. Emanato, contro stampa e associazioni ecologiste, il divieto di accesso e di sorvolo della zona di affondamento, per impedire la reale stima del danno o la testimonianza sull’uso di disperdenti chimici altamente inquinanti per ridurre la marea nera, mentre là dove non è più possibile nascondere nulla, spazio alla generosità dei volontari, con i propri mezzi, a ripulire spiagge, mare e cercare di salvare gli animali.

E poi la solita ricerca di un capro espiatorio su cui scaricare tutte le responsabilità. A pagare sarà qualche ufficiale della capitaneria di porto per aver autorizzato l’ormeggio, mentre petrolieri e ministri, come successe con il disastro del Prestige in Galizia, saranno assolti e tutto continuerà come prima in attesa di una prossima catastrofe.

Prima o poi ci si dovrà chiedere perché il grido disperato Mai più! rimane inascoltato e, passata l’emergenza, gli speculatori e i loro mediocri sponsor politici continuano indisturbati. Forse molti sono spinti alla rassegnazione per la paura di tornare indietro, di perdere quella qualità di vita acquisita e così prevale l’idea che certo il petrolio inquina, ma bisogna accettare il prezzo perché non esiste alternativa, se si vuole continuare a utilizzare auto, aerei e navi per spostarci.

Petrolio per illuminare, scaldare e rinfrescare le case in cui abitiamo, per dare energia alle aziende in cui siamo occupati. Per restare connessi con computer, tablet e telefonini. È ancora una minoranza quella che pensa che sia possibile costruire un nuovo modello energetico, distribuito e 100% rinnovabile, con cui garantire la stessa qualità della vita di cui oggi godiamo nella nostra parte di mondo.

L’alternativa esiste, ciò che manca è la volontà politica di realizzarla. A volte l’ostacolo alle rinnovabili è anche tra chi grida Mai piu! quando, in nome della giusta critica allo sviluppo capitalistico e alla sua società di consumi irrazionali e spesso indotti, si afferma che le fonti rinnovabili hanno limiti, le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici sono brutti e quindi meglio rinunciare…

L’informazione italiana poco si interessa all’ecoreato nelle Canarie, forse proprio perché un voto di fiducia ha permesso il varo della legge Sblocca Italia con il suo articolo 38 rinominato «Sblocca trivelle» e forse perché è in corso un vero reato ambientale con il tentativo di modificare il ddl sugli ecoreati, già adottato al Senato, per la norma che vieta la ricerca di idrocarburi in mare con la tecnica dell’airguns. In un paese dove l’80% dei processi per reati ambientali cade in prescrizione.