Un diritto per essere tale deve essere esigibile, tanto più se si tratta di un diritto legato alla salute. Ebbene, in Italia la canapa ad uso terapeutico è per molti malati ancora un miraggio. Occorre affrontare un percorso a ostacoli per ottenere una prestazione resa legittima da due decreti ministeriali.

Il primo del 18 aprile 2007 che inseriva nella Tabella II, sezione B, della legge sugli stupefacenti fra le sostanze ad uso terapeutico il Delta-9- tetraidrocannabinolo e il Dronabinolo, consentendo la vendita di prodotti sintetici come il Sativex; l’altro del ministro Balduzzi, del febbraio 2013, che aggiungeva i medicinali a base di cannabis di origine vegetale.

Molte regioni hanno approvato leggi per tradurre queste novità legislative in linee operative, ma le resistenze degli apparati burocratici che devono predisporre i regolamenti attuativi, i ritardi delle Asl motivati con la preoccupazione dei costi da sopportare (e non ultimo i boicottaggi per ragioni ideologiche) hanno fino ad oggi frenato l’accesso a questi farmaci, ben al di sotto del target di pazienti potenzialmente interessati.
La Regione Toscana si è mossa per sbloccare l’impasse. L’11 febbraio scorso, il consiglio regionale ha votato alcune modifiche importanti alla legge di tre anni fa, proposte dalla consigliera Monica Sgherri. La cannabis potrà essere prescritta prescrizione anche dai medici di base, con oneri a carico del Servizio sanitario regionale, sulla base di un piano terapeutico redatto da uno specialista. I farmaci potranno essere somministrati a domicilio e saranno forniti dalla farmacia ospedaliera.

Per ridurre il costo dei farmaci importati dall’estero, si è dato incarico alla giunta regionale di avviare azioni sperimentali o specifici progetti pilota per la produzione dei farmaci stessi. Quest’ultima disposizione dovrebbe accelerare l’avvio della produzione di medicinali cannabinoidi da parte dell’Istituto chimico militare di Firenze, già individuato allo scopo dalle ministre Pinotti e Lorenzin.

Sono di particolare interesse i risultati di uno studio condotto dall’Azienda Ospedaliera di Pisa sui pazienti trattati con cannabis terapeutica nella terapia del dolore nell’ospedale di S. Anna, nei tre anni successivi all’approvazione della legge toscana. I dati sono stati presentati dal dottor Paolo Poli, direttore dell’unità operativa competente, in sede di audizione di esperti presso la Commissione sanità del Consiglio regionale della Toscana.

Innanzitutto, lo studio ha evidenziato l’esistenza di critiche e resistenze di parte del mondo sanitario all’utilizzo di cannabinoidi nella cura del dolore cronico, oncologico e non. Emerge anche che il materiale vegetale presenta notevoli vantaggi rispetto al Thc sintetico. Non solo le infiorescenze prodotte in Olanda (utilizzate nello studio) derivano da piante con profilo genetico stabile, per cui forniscono un prodotto con un contenuto di principio attivo costante; rispetto ai farmaci a base di Thc sintetico, «l’infiorescenza secca permette di sfruttare le proprietà terapeutiche di un intero fitocomplesso, di cui il Thc è solo uno dei costituenti», si è detto nell’audizione. Ben 327 pazienti sono stati trattati e monitorati: dopo tre mesi di trattamento, si constata un buon risultato sul dolore, un miglioramento della qualità del sonno rispetto agli effetti delle benzodiazepine e si riscontrano minimi effetti collaterali.

L’unico aspetto negativo è il costo della terapia, che nella prima versione della legge regionale era ancora a carico del paziente. E’ uno studio importante, che avvalora le proprietà benefiche della cannabis e mina i miti del terrorismo anti cannabis. Con buona pace dei buchi nel cervello!

(dossier sulla canapa medica su www.fuoriluogo.it)