Il 2014 è stato l’anno della svolta nelle politiche sulla cannabis negli Stati Uniti. Lo riassume bene l’associazione americana Norml che da oltre quaranta anni si batte per la riforma della politica delle droghe statunitense. ll paese promotore del proibizionismo mondiale si ritrova a fare i conti con la depenalizzazione e la legalizzazione della vendita della marijuana in almeno quattro importanti stati della federazione.

L’anno era iniziato con l’apertura dei primi negozi per il commercio della marijuana anche per uso ricreativo in Colorado (gennaio) e poi nello Stato di Washington (luglio). I due stati avevano preso la loro irrevocabile decisione in occasione delle ultime elezioni presidenziali del 2012, grazie alla schiacciante vittoria nei relativi referendum. A novembre 2014, in occasione delle elezioni di metà mandato, anche i cittadini dell’Oregon, dell’Alaska e del distretto federale della Colombia, il distretto della capitale Washington, hanno approvato la depenalizzazione dell’uso della marijuana a scopo ricreativo. Ancora, a febbraio, un importante passo avanti: il Congresso ha riconosciuto l’autonomia degli stati in materia di politica della droga, ponendo fine al conflitto con i poteri centrali, visto che la normativa sulle droghe è di competenza federale.

Ed anche il Presidente Barack Obama è intervenuto per limitare la possibilità che il Dipartimento di Giustizia possa adottare misure penali contro coloro che agiscono nel rispetto delle leggi sulla marijuana medica negli stati che le hanno approvate.

Oltre i confini degli stati pionieri, il vento della riforma scuote tutta l’America. In un’indagine del Wall Street Journal e un sondaggio di NBC News, nel marzo 2014,  gli intervistati dichiarano che il consumo di cannabis comporta meno danni alla salute di quanto non faccia il consumo di tabacco, l’alcol, o l’eccesso di zucchero. Il giudice distrettuale Kimberly Mueller ha avviato in ottobre le procedure per dimostrare l’incostituzionalità della presenza della marijuana nella Tabella I della legge antidroga, supportata dalle evidenze scientifiche che contrastano con la definizione della cannabis come «sostanza che crea una grave dipendenza», «con alto potenziale di abuso» e «senza usi utili alla medicina».

Nel frattempo negli stati che hanno legalizzato la marijuana per usi medici, sono diminuiti i morti per overdose da oppiacei  come documentato dallo studio della testata medica Jama Internal Medicine, pubblicato in agosto;  mentre già in aprile, sulla rivista Plos one, si dimostrava come in quegli stessi stati fossero diminuiti omicidi ed aggressioni. Tutto questo senza considerare l’introito che deriva dalla tassazione delle vendite della marijuana liberalizzata, che nel solo Colorado, da gennaio ad agosto, ha reso quarantacinque milioni di dollari: soldi in più a disposizione della comunità che potranno essere investiti in istruzione e progetti sociali.

In Italia, l’accordo fra i ministeri della Salute e della Difesa per l’avvio della coltivazione per uso medico della canapa da parte dell’Istituto Farmaceutico Militare di Firenze sembra già impantanato nel labirinto burocratico. La depenalizzazione della coltivazione ad uso personale, soluzione semplice e razionale, rimane bloccata in Parlamento, mentre il mercato nero che foraggia anche la criminalità cresce costantemente seguendo il trend di consumo della cannabis in aumento in tutta l’Europa.

Il 2014 negli Stati Uniti dimostra che forse l’insensata e fallimentare guerra alla droga volge finalmente al termine ed è tempo anche in Italia di superare l’impostazione proibizionista, trovando soluzione nuove ad una questione che coinvolge migliaia di cittadini.