La discussione relativa alla legalizzazione della cannabis è stata sostanzialmente accantonata in Parlamento, molte regioni e province autonome si attardano a riconoscere la mutuabilità della somministrazione di preparati a base di cannabis terapeutica e quelle che la riconoscono la limitano ad un catalogo molto ristretto di indicazioni terapeutiche, intanto c’è chi si appella direttamente al Presidente della Repubblica per vedere rispettati i propri diritti.

Questo è il caso di un uomo sessantenne di Trento, condannato a cinque mesi e dieci giorni di reclusione per aver coltivato tre piante di canapa. La sua storia, personale e giudiziaria, è presto detta. L’uomo, con una superata storia di tossicodipendenza alle spalle, affetto da più patologie (tra cui: sieropositività, diabete mellito insulino, epatite cronica da HCV evoluta in cirrosi epatica con ipertensione portale e varici esofagee) che lo costringono ad assumere un cocktail di farmaci salvavita dei quali non riesce a tollerare gli effetti collaterali, nel 2013 scopriva i benefici della cannabis.

A fronte dell’attivazione del Progetto Pilota indetto con Decreto del Ministero della Salute del 9.11.2015, solo il 31 maggio 2016 la Giunta Provinciale della Provincia Autonoma di Trento adottava la deliberazione n. 937 per regolare l’erogazione a carico del Servizio Sanitario Provinciale di preparazioni galeniche magistrali a base di cannabis.

All’uomo, visitato dal dott. Scaioli dell’Istituto Besta di Milano ed anche dal dott. Raggi, dirigente medico della struttura provinciale, è stato prescritto un preparato a base di cannabis, il Bediol.

In precedenza, in assenza di una normativa che assicurasse l’accesso gratuito al preparato, per potersi curare con le proprietà della cannabis l’uomo decideva di coltivare alcune piante per soddisfare il proprio fabbisogno: la pensione non gli permetteva di affrontare le spese per acquistare regolarmente la sostanza.

In questo contesto, l’uomo veniva imputato per la violazione delle norme del Testo Unico sugli Stupefacenti, a causa della coltivazione di poche piante di canapa.

In prima istanza, il GUP del Tribunale di Trento assolveva l’uomo «perché il fatto non costituisce reato» osservando come «…le piante sono solo tre; e come si è visto gli effetti della loro assunzione avevano natura e finalità terapeutica, e non stupefacente in senso proprio», disattendendo le conclusioni del Pubblico Ministero che riteneva come nella condotta non si fosse realizzata «alcuna esimente (…); neppure quella dello stato di necessità, dato che l’imputato poteva procurarsi la ‘erba’ sul mercato, senza necessità di produrla egli stesso».

La sentenza veniva quindi appellata dal pm che non condivideva l’esito assolutorio poiché «… pare del tutto incomprensibile, quantomeno al pm appellante, l’indicazione per cui gli effetti dell’assunzione delle tre piante avevano ‘natura e finalità terapeutica, e non stupefacente in senso proprio’…».

La Corte di Appello di Trento riformava la sentenza di primo grado condannando l’uomo per la coltivazione. La Corte di Cassazione metteva fine all’iter giudiziario, rigettando il ricorso dell’interessato nell’udienza del 28 aprile scorso.

Intanto l’uomo, che dovrebbe curarsi con la cannabis per l’inefficacia delle terapie convenzionali, affronta nuove difficoltà: reperire il Bediol prescritto dai medici è assai difficile per assenza di scorte come è già stato denunciato anche in questa rubrica pubblicata il 5 luglio.

Per trovare una risposta equa rispetto a una palese ingiustizia verso una persona con bisogni di salute, l’uomo si è rivolto al Presidente della Repubblica per chiedere la grazia, con istanza inviata il 7 luglio 2017 al Quirinale.