Il razzismo di stato del neo presidente degli Usa dimostra che i principi della democrazia moderna non sono dati una volta per tutte. Avere un sistema democratico dotato di strumenti di controllo, pesi e contrappesi, non è di per sé sufficiente a impedire che si affermino nuove forme di fascismo.

Il turbo capitalismo finanziario non solo mina i principi delle costituzioni democratiche, a partire dal principio di uguaglianza, ma punta ad affermare modelli che sono l’esatto contrario della democrazia.

In un sistema democratico ciò che conta è che chiunque vinca le elezioni garantisca i diritti di tutti, in primo luogo quelli delle minoranze.

I giudici da soli non possono rimediare ai guasti della politica, come si vede nel caso dei provvedimenti firmati da Trump, contro i quali si è per fortuna levata una grande protesta popolare.

Intanto cresce la rabbia di chi ha visto peggiorare le proprie condizioni di vita, rabbia che viene strumentalmente indirizzata verso l’immigrazione e il mondo islamico, vittime di continue campagne razziste e oggi principali capri espiatori nel dibattito pubblico.

In Europa e in Italia ci sono state reazioni anche molto critiche alle decisioni del presidente americano, mentre la destra xenofoba si augurava che simili misure venissero adottate anche da noi.

Le istituzioni europee e i governi, al di là delle parole di sdegno, in realtà stanno da tempo muovendosi nella stessa direzione. L’accordo con la Turchia è servito a impedire ai rifugiati siriani e iracheni (due dei Paesi colpiti dal provvedimento di Trump) di arrivare in Europa.

Venerdì prossimo, a La Valletta, capi di Stato e di governo dell’Ue s’incontreranno per discutere di flussi migratori nel mediterraneo centrale.

L’obiettivo, dopo aver chiuso la rotta balcanica, è quello di chiudere anche la rotta che passa dalla Libia, stanziando 200 milioni di euro per formare ed equipaggiare la guardia costiera libica e per favorire i ritorni volontari dei migranti verso i Paesi d’origine. Un finanziamento che viene ipocritamente presentato all’interno di un quadro di cooperazione internazionale.

La verità è che, come per l’accordo con la Turchia, si vogliono esternalizzare le nostre frontiere, chiedendo all’instabile governo libico di fermare l’immigrazione per conto dell’Ue. E presentando questa operazione come una forma di aiuto ai Paesi d’origine o transito dei migranti.

In questo quadro, il Fondo italiano per l’Africa, così come in generale gli aiuti allo sviluppo, rischiano di diventare lo strumento per finanziare accordi con governi o regimi che si impegnino ad attuare politiche aggressive di controllo delle frontiere e contenimento dei flussi. Questa sarà probabilmente la linea che verrà confermata dal prossimo vertice a La Valletta, un favore ai regimi dittatoriali e ai trafficanti di esseri umani.

I fondi per la cooperazione dovrebbero invece essere condizionati al rispetto dei diritti umani, introducendo per legge una clausola in tal senso.

Non si vuole prendere atto che l’emigrazione rappresenta, con le rimesse e con le relazioni che s’innescano, il principale fattore di sviluppo delle comunità locali nei Paesi di provenienza. Bisogna scegliere se promuovere quella legale o favorire quella irregolare, come è stato finora.

E importante che il governo italiano usi il Fondo Africa per far fronte alle cause che determinano i fenomeni migratori, sostenendo attivamente le comunità locali, incentivando le loro economie, producendo occupazione, difendendo i diritti umani.

Va valorizzato il ruolo delle Ong (Organizzazioni non governative) come soggetti attuatori delle azioni di solidarietà, aiuto umanitario e di sviluppo comunitario che il Fondo metterà in campo.

Deve essere garantito l’accesso alla procedura d’asilo a chiunque ne faccia richiesta, così come prevedono la legge e la Costituzione.

È infine necessario che il Parlamento vigili attentamente sui contenuti del decreto d’implementazione del Fondo per l’Africa e in particolare sugli aspetti che riguardano i diritti e le libertà delle persone.

Si impedisca all’Ue di criminalizzare le organizzazioni umanitarie che operano al largo della Libia per mettere in salvo le persone in cerca di protezione e si cancelli qualsiasi forma di guerra ai migranti praticata impiegando le nostre forze armate o quelle di altri Paesi.

Solo realizzando canali d’ingresso sicuri e legali si può salvaguardare la vita delle persone, combattere scafisti e trafficanti, fermare la tragica conta delle morti nel Mediterraneo.

*vicepresidente Arci