Certo non deve essere per nulla facile trovarsi al vertice di un sindacato – ancor di più, della Cgil – quando al governo c’è un “asfaltatore” come Matteo Renzi. Ma la segretaria Susanna Camusso, nonostante le forti perdite di consenso interno subite al Congresso dello scorso maggio, non sembra aver ancora trovato la rotta giusta per ricompattare la sua organizzazione, per portarla al livello richiesto dalla sfida con il premier. I numeri parlano chiaro, ed è stato un crollo continuo, inarrestabile: se per eleggere la sua maggioranza al Direttivo ha preso un buon 80%, al momento della riconferma a segretaria quella cifra è precipitata al 69%. Peggio ancora l’altroieri, quando per approvare la nuova squadra confederale, il Direttivo le ha concesso uno striminzito 62%.

Di voto in voto, sembra avvicinarsi pericolosamente il 50% (potrebbe notare qualche maligno), cifre a cui un sindacato per tanti versi ancora “antico” come la Cgil – abituato alle autocelebrazioni “bulgare” – non pare pronto. Ma illazioni a parte, quei numeri vanno analizzati. Anche perché noi stessi, ieri, abbiamo parlato di un 68% e non di un 62%: cifre entrambe vere, solo che la prima si riferisce al totale dei presenti, la seconda a quella degli aventi diritto. E al primo scrutinio, come è avvenuta questa elezione, secondo le regole della Cgil conta la seconda. Stesso identico meccanismo si era verificato alla riconferma di Camusso: l’aveva votata il 73% dei presenti, ma soltanto il 69% degli aventi diritto.

Insomma siamo a una perdita netta di 5 o addirittura 7 punti rispetto all’elezione a segretaria: la nuova squadra che ha integrato Nino Baseotto, Gianna Fracassi e Franco Martini, è insomma quasi più sgradita della stessa leader? O più semplicemente, da inizio maggio a oggi si sono acuiti i malcontenti insiti nella stessa maggioranza camussiana, perché la segretaria non sta riuscendo ad affrontarli? Va tenuto conto anche del fatto che Camusso, per la sua rielezione, ebbe 105 voti a favore su 151 aventi diritto, adesso ridotti a 94: con 39 contrari (contro i 36 precedenti) e 5 astenuti (contro 2). Gli assenti sono saliti a 12 (contro 8), di cui ben 11 della maggioranza.

Insomma, senza voler affogare nessuno con una messe di numeri, è evidente che Camusso continua a perdere pezzi. Cerchiamo allora qualche motivazione “politica” di questa caduta.

Innanzitutto, la nuova squadra, e il tentativo di isolare la minoranza: far entrare Nino Baseotto, segretario lombardo, è un chiaro segnale di guerra. Baseotto aveva infatti firmato a fine marzo una lettera a pagamento su l’Unità di attacco frontale a Landini. Prima ancora, aveva organizzato un convegno a Milano, per l’estensione del Testo unico sulla rappresentanza, a cui non aveva invitato soltanto la Fiom (piuttosto incredibile, visto che è una delle categorie più coinvolte, e insieme l’unica voce dissonante).

Incontro milanese, tra l’altro, passato alla storia della Cgil non tanto per le tesi esposte dagli intervenuti, quanto più per le “botte” a Giorgio Cremaschi, che aveva chiesto di poter intervenire.

Insomma, Baseotto è uno “sherpa”, un “pasdaran” della segretaria, che assurgendo al suo lato destro nel governo confederale della Cgil, inevitabilmente segna in modo simbolico quasi una nuova mission per la squadra. Esce Nicola Nicolosi, che seppure abbia svolto, nella stessa maggioranza, un ruolo di “spina nel fianco”, poiché apparteneva all’area Lavoro e Società, adesso essendo passato con i “landiniani” è assolutamente out.

Esce anche Elena Lattuada, ma lei andrà a sostituire Baseotto alla guida della Lombardia. Per tirare le somme, la nuova segreteria viene vista come una blindatura ancora più forte di Camusso intorno a sé e ai suoi: il che già dal Congresso ha dato certamente fastidio a strutture come l’Emilia Romagna, o lo Spi, che pur restandole leali, credono sia comunque giusto – per la salute dell’organizzazione e per una sua maggiore efficacia – aprire alla minoranza.

Infatti erano state l’Emilia e lo Spi a sbloccare l’impasse del Congresso, quando fu sospeso per 3 ore al momento dell’elezione degli organi di garanzia, facendo tornare a più miti consigli Camusso, che voleva occupare più caselle del consueto. Ma le critiche sono anche per la gestione “esterna” del sindacato, e non solo per la carenza di democrazia interna: che risultati sta ottenendo la Cgil?

C’è la piattaforma su fisco e pensioni con Cisl e Uil – è vero – ma già da ora, per il low profile che le si è voluto (o potuto) dare, appare come una battaglia persa, come fu contro la riforma Fornero. E ci sono anche due altre mine poste da Renzi: la prima è l’invio automatico dei 730, annunciato per il 2015. Vorrebbe dire il tracollo dei Caf, grande centro di finanziamento per le iniziative sindacali. E ancora, il governo vorrebbe dimezzare i permessi sindacali del pubblico impiego. Piccoli terremoti che toglierebbero spazi e fondi alla Cgil, e che rischiano di far vacillare chi sta al vertice.