Da una parte un tavolo tecnico governo-sindacati a palazzo Chigi in cui si parlano due lingue diverse e poco conciliabili, dall’altra tanti emendamenti diversi che rimandano la partita dell’innalzamento dell’età pensionabile al prossimo governo. A far pendere la bilancia verso la soluzione parlamentare arriva la dichiarazione di Susanna Camusso durante l’audizione dei sindacati in Senato sulla manovra: «Potremmo passare il pomeriggio a studiare gli emendamenti sul rinvio, in questo momento è più interessante delle non risposte che sta dando il governo». Sulla stessa linea è anche il segretario generale Uil Carmelo Barbagallo: «Noi continuiamo a discutere con il governo, ma se serve più tempo, come tutti dicono, vedremo di prenderlo». Solo la Cisl rimane ottimista, seppur isolata: «Nonostante le cassandre che sento in queste ore e in questi giorni il confronto col governo può avere ottime prospettive». In realtà lo stesso Pettini uscendo dall’incontro a palazzo Chigi – a cui ha partecipato insieme a Roberto Ghiselli della Cgil e Domenico Proietti della Uil – aveva riconosciuto le difficoltà: «C’è la volontà di trovare una soluzione ma la strada è delicata».
COS’È SUCCESSO AL TAVOLO per rendere i sindacati così pessimisti? Molto semplicemente il governo ha confermato che si discuterà quasi «esclusivamente» delle categorie da esentare dall’innalzamento dell’età pensionabile, senza affrontare i tanti temi lasciati aperti dalla mancata conclusione della trattativa – lunga sei mesi – al ministero del Lavoro: dalle pensioni dei giovani al riconoscimento ai fini previdenziali del lavoro di cura delle donne. Solo qualche timida apertura sul tema della previdenza complementare: un possibile adeguamento della tassazione sui fondi e una riapertura del «silenzio-assenso» che – come nel 2007 – aumenterebbe il numero di lavoratori aderenti.
ANCHE RIMANENDO AL CAPITOLO innalzamento dell’età pensionabile Cgil, Cisl e Uil non possono che essere delusi. La loro richiesta iniziale – il blocco dei cinque mesi previsti dal primo gennaio 2019 per tutti i lavoratori senza distinzione – era correlata a quella di ridiscutere l’intero meccanismo, a partire dal criterio di calcolo dell’aspettativa di vita e la sua applicazione alle età di pensione. Ebbene, anche su questo punto il governo ha candidamente ammesso che non è in possesso né esistono studi su quanto sia la reale aspettativa di vita a seconda delle categorie lavorative facendo di colpo decadere la frase – pronunciata dal ministro Maurizio Martina – che ha reso necessaria la trattativa: «Non tutti i lavori sono uguali, e non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita per le mansioni che fanno». Per ricostruire le aspettative di vita servirebbe un lavoro da parte di Istat e Inps lungo mesi. E per questo i sindacati – specie la Uil – spingono per aprire una trattativa senza il limite di tempo imposto dal governo: chiusura lunedì 13.
IL «SENSO DI RESPONSABILITÀ» sentito da Cgil e Uil li ha fatti rimanere al tavolo formulando la richiesta che il governo presentasse una proposta. E la proposta arriverà oggi nel nuovo round già programmato. Difficile però che si discosti molto da quanto già annunciato: l’allargamento alle 11 categorie dei lavori cosiddetti gravosi – operai dell’industria estrattiva e dell’edilizia; gruisti; conciatori; macchinisti; camionisti; infermieri con turni notturni; addetti all’assistenza di persone non autosufficienza; insegnanti di nidi e materne; facchini; addetti alle pulizie; operatori ecologici – magari ampliata a marittimi, agricoli e siderurgici. Se limitandosi ai «gravosi» si stimano 14mila persone, con le altre tre categorie si rimarrebbe comunque sotto la soglia 20 mila. Un numero «troppo limitato» per i sindacati.
GIÀ COSÌ COMUNQUE ci sarebbero problemi di coperture finanziarie – sebbene per il 2019 – e di scostamenti dagli effetti della riforma Fornero, esattamente quello che non vuole la schiera di tecnici del ministero dell’Economia che ieri per la prima volta accompagnavano il «commissariato» Marco Leonardi, consulente renziano di palazzo Chigi che formalmente conduce il tavolo.
In quest’ottica il governo non è neanche intenzionato a varare una proroga dell’Ape social per bypassare il nodo dell’automatismo, producendo la possibile beffa per le categorie che ora ne godono: quest’anno potranno andare in pensione a 63 anni, dal 2019 a 66 anni e 7 mesi.
A CHIUDERE IL CERCHIO di una discussione quasi paradossale ieri è arrivato l’affondo di Confindustria: «È apprezzabile che il governo sia riuscito finora a respingere le richieste in materia di età pensionabile». Amen.