Che il decreto Poletti non vada per nulla bene la Cgil lo ripete ormai ogni giorno: ieri però Susanna Camusso lo ha ribadito nella «tana del lupo», ovvero davanti a una platea piena di confindustriali, ospite al convegno di Bari dell’associazione guidata da Giorgio Squinzi. E lo ha fatto all’indomani della blindatura sul decreto posta dal premier Matteo Renzi, mentre lo stesso Squinzi ribadiva che «il Parlamento deve confermare» l’attuale formulazione della legge.

Insomma chi oggi vuole cambiare quella legge che precarizza il lavoro appare in assoluta minoranza, schiacciato al muro dall’asse governo-industriali (che la vedono allo stesso modo, nonostante le finte baruffe mediatiche, peraltro bollate come tali dalla stessa Confindustria), asse che nel frattempo si è arricchito del sostegno convinto dell’Ncd e di Forza Italia: Brunetta ha offerto in settimana il voto dei berlusconiani, per contrastare una possibile alleanza sinistra Pd-Sel-M5s, ma solo se il decreto non verrà modificato.

«La legislazione sul lavoro non permette di dire ai giovani che hanno una prospettiva», ha attaccato Camusso parlando agli industriali. «Tutti quelli che oggi ci raccontano che dobbiamo cambiare verso – chiarissimo il riferimento a Renzi – sono gli autori e governano insieme a tutti quelli che hanno prodotto la legislazione di questo periodo», costruita negli anni: «Quella del lavoro a chiamata, dei voucher, delle associazioni in partecipazione, dei contratti a progetto, delle Partite Iva più o meno false, invece di investire sulla qualità del lavoro e della formazione». In effetti, il Pd è al governo con l’Ncd, e ad esempio Maurizio Sacconi è autore della contestatissima legge 30.

«Possiamo discutere di questo? – ha ripreso la segretaria della Cgil, rivolgendosi agli imprenditori – Non mi pare si vada in questa direzione. Si sta facendo dell’altro. Non si può continuare a contrapporre i mondi. Il tema è che non abbiamo investito sul lavoro, esattamente come non abbiamo investito sull’idea di manifattura». Camusso ha poi ricordato che la Cgil ha presentato un Piano del lavoro, e ha ripetuto che nel dl lavoro «non c’è nulla di innovativo», ricordando infine che in Italia «ci sono 4 milioni di giovani precari».

Un piccolo assist, ma neanche poi troppo esplicito (e men che mai di critica al decreto Renzi-Poletti) è venuto dal governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, peraltro protagonista l’altro ieri di una «tirata» contro i sindacati e le imprese, che ieri ha voluto in parte ridimensionare. Anche lui al convegno di Bari, Visco ha spiegato agli industriali che la precarietà non aiuta l’impresa: «Studi della Banca d’Italia dimostrano come rapporti di lavoro più stabili possano stimolare l’accumulazione di capitale umano – ha detto – Il miglioramento delle competitività delle imprese passa in misura importante attraverso la valorizzazione e lo sviluppo del capitale umano di cui dispongono anche in collaborazione con il sistema di istruzione e di ricerca».

D’altronde il convegno barese, ricchissimo di interventi di spicco, organizzato dal Centro studi di Confindustria, si intitolava proprio «Capitale sociale: la forza del Paese». Infatti si è parlato non solo di lavoro ed economia (tra gli invitati anche Giuliano Poletti), ma anche di scuola, università, ricerca (c’era pure, infatti, la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini).

«Innovazione», parola magica per tutte le stagioni, ma le imprese su questo punto non sanno evolversi: restiamo sempre tra gli ultimi nelle classifiche di ricerca e sviluppo, pubblica e privata.

Eppure ieri Squinzi ha proprio saldato la «pace» con Visco, dopo le accuse di quest’ultimo su un «ristagno» causato da imprese e sindacati, dicendo che «le imprese sono le prime a volere innovazione e competitività». Visco ha ricambiato la cortesia, spiegando che «giornali, agenzie, blog hanno lanciato un allarme sulle mie parole, ma non mi hanno ascoltato bene: io parlavo di attitudini generali», senza insomma riferimenti specifici.