In un saggio del 2001, Kawakami Hiromi raccontava la propria esperienza di studentessa di biologia all’Università di Ochanomizu confessando di non avere mai realmente imparato qualcosa, forse perché scarsamente predisposta – proprio lei che era figlia di un professore di biologia – o forse per mancanza di interesse; il lavoro per la tesi di laurea, dedicata a una specie di riccio di mare, l’aveva però appassionata, soprattutto per la raccolta dei campioni e lo studio in laboratorio. Chi ha letto l’insieme della narrativa di questa importante scrittrice, che ha ottenuto numerosi riconoscimenti ed è stata consacrata dal premio Akutagawa nel 1996, potrà trovare curioso che l’autrice di storie spesso sospese tra realtà e fantasia, capace non solo di interpretare acutamente le emozioni ma di inserire visioni immaginifiche in accurate ricostruzioni della quotidianità, abbia una formazione scientifica.

Più voci, un’unica storia
Poco o nulla, nel suo trentennale racconto dell’animo umano e dei corollari emotivi che ne rendono significativa la presenza nel mondo, sembrerebbe riconducibile al rigore che riteniamo proprio della scienza, all’esattezza del calcolo e alla inevitabilità dei rapporti di causa ed effetto. C’è, tuttavia, nella prosa misurata di Kawakami Hiromi, nella scrittura essenziale ma capace di incorporare immagini di grande effetto poetico (con una sicurezza esecutiva e un senso della géométrie di certo dovuti alla sua attività di autrice di haiku), così come nell’inesauribile interesse verso l’intensità e la varietà dei sentimenti, un forte richiamo alla scienza come strumento di indagine delle infinite variabili che ci rendono, nel bene o nel male, partecipi della vita. Questo è anche uno dei motivi per cui le sue raccolte di racconti a cominciare dalla prima, Kamisama (Dio, 1994), ci presentano vicende che, pur essendo autonome e spesso scritte in periodi diversi, sono leggibili come parti di una storia più ampia, di un organismo le cui componenti appaiono tutte collegate tra loro.

Dichiaratamente coerente a questa impostazione, I dieci amori di Nishino (traduzione dal giapponese di Antonietta Pastore, Einaudi, pp. 164, € 18,00) è il racconto a più voci di un’unica storia, quella di Nishino Yukihiko, uomo irresistibile eppure mai veramente amato, affamato d’amore ma incapace di conquistarlo. Le dieci donne che raccontano in prima persona il loro incontro con Nishino sono diverse per età e posizione sociale: alcune sono mogli e madri, altre sono donne in carriera o timide liceali o giovani in cerca di un ruolo e di identità. Ciascuna ha la propria voce e una storia unica da narrare. Benché la sottotrama sia una soltanto, vale a dire la vita di Nishino e i fatti che gli sono capitati nel corso degli anni, ognuno di questi intrecci è uno squarcio che si apre sulla condizione femminile nella società contemporanea.

Due gli elementi che accomunano le dieci storie: il primo è che Nishino è entrato nella vita delle dieci donne per caso, in un momento di crisi o di una quiete molto somigliante all’apatia; il secondo è che nessuna di loro è mai riuscita ad amarlo sul serio, né a restare al suo fianco più di tanto. Non occorre scomodare Freud per comprendere come la ricerca spasmodica di una presenza femminile sia motivata da un trauma che Nishino subì da ragazzo, e che il desiderio attuale agisce come un meccanismo di compensazione per l’assenza di chi non si potrà mai rivedere.

Verso i confini dell’amore
Come nei romanzi migliori, però, l’intreccio dissimula, offusca e complica il ricordo di questa esperienza lasciando che resti ambigua: tante sono le domande che non trovano una risposta e fanno sì che Nishino appaia, alla fine, come una trasfigurazione di sé stesso, una presenza/assenza motivata più dalla necessità di raccontare quanto vi è di irriducibile e di inevitabile nell’amore e nelle sue espressioni e rappresentazioni, che dall’esigenza di materializzarsi nel personaggio di una storia.

Più ancora che in altre opere, nei Dieci amori di Nishino Kawakami mostra di saper controllare la materia narrativa fornendo in ordine sparso al lettore i pezzi necessari a completare il puzzle, così che egli possa indugiare nel piacere di scoprire Nishino a poco a poco. Ma il piacere rievoca una dolce tristezza. Nishino è una figura dalle mille incongruenze, che si lascia ammirare e compatire, desiderare e disprezzare, irritante nella sicurezza con cui si avvicina alle donne, confortante nel suo calore, asfissiante nelle sue attenzioni. Ostinato nella ricerca di salvezza in ciò che appare come una versione tutta umana e romantica dell’antico agape, Nishino Yukihiko arriva ai confini dell’amore e ce li indica. Come un biologo esperto raccoglie campioni, sperimenta al posto nostro l’infinita varietà dei sentimenti e ci ricorda, con la sua storia personale e la serenità dei suoi ultimi istanti, che, se pure non riuscisse a salvarci, l’amore renderà la nostra vita comunque degna di venire vissuta.