Con gli immigrati e con i Rom si guadagna più che con la droga, diceva Salvatore Buzzi, uno dei due “ras” del «mondo di mezzo» di Mafia capitale. Ed è ancora attorno al business dei campi nomadi che ruota la nuova inchiesta della procura di Roma che ha portato ieri all’arresto in carcere di quattro imprenditori di cooperative e ai domiciliari una funzionaria del Dipartimento delle politiche sociali del Campidoglio ed un vigile urbano. Applicata anche una misura interdittiva e indagata un’altra dirigente dell’Area Inclusione sociale dell’Ufficio Rom, Sinti e Caminanti del medesimo dipartimento, già condannata in primo grado e con rito abbreviato a 4 anni di reclusione per i suoi affari con Buzzi.

Un giro di mazzette, regali e favori agli impiegati comunali, quello ipotizzato dai pm, che tra il 2013 e il 2014 avrebbe permesso agli imprenditori di ottenere in affidamento diretto una serie di appalti per la bonifica di alcuni campi nomadi come quello di Castel Romano e di via Candoni, e in alcuni casi di non completare neppure i lavori. La gip Flavia Costantini ha disposto le misure cautelari sulla base delle ipotesi, formulate a vario titolo per gli arrestati, di corruzione, falso in atto pubblico e turbativa d’asta. Fin qui la cronaca giudiziaria: i nomi, dal nostro punto di vista, sono poco importanti, fin quando non verranno accertate le responsabilità. Ma che esista un problema “appalti” nel comune di Roma è fin troppo noto. E la riorganizzazione di tutto il sistema è, come ha detto ieri Raffaele Cantone, «assolutamente fondamentale».

«Il sindaco Raggi lo sa, ha letto la nostra relazione», ha puntualizzato il presidente dell’Anac secondo il quale si tratta ora di capire come la serie di misure prese dopo lo tsunami di Mafia capitale abbia «inciso sul sistema». In ogni caso, ha aggiunto Cantone, la gestione dei campi nomadi «rientra nel settore dei servizi sociali, uno di quelli assolutamente da tutelare ma su cui è necessario lavorare anche sul piano della trasparenza».

Per intanto, vale la pena rileggere il dossier dell’Associazione 21 Luglio (che sulla trasparenza lavora da anni) «Campi nomadi Spa», pubblicato a giugno 2014 e dedicato ai costi della segregazione, della concentrazione e degli sgomberi dei Rom a Roma nell’anno 2013, esattamente l’epoca a cui si riferiscono i fatti incriminati. Un costo che supera i 24 milioni di euro annui. Nel corposo documento vengono descritti minuziosamente (vedi tabelle in pagina) gli otto «villaggi della solidarietà» presenti a Roma, e come sono costretti a vivere i Rom (4.391 nel 2013) che vi risiedono: «isolamento fisico e relazionale», «precaria condizione igienico-sanitaria», «spazi inadeguati e asfittici», «servizi interni insufficienti», «unità abitative in stato di grave deterioramento e al di sotto dei requisiti minimi previsti dagli standard internazionali».

Si prenda il campo di Candoni, per esempio, a 12,4 km dal centro, direzione sud, «inaugurato nel 2000 per accogliere inizialmente 480 persone provenienti dalla Romania» e ampliato nel 2004 per concentrare altre 170 persone provenienti dalla Bosnia. Nel 2013 vi vivevano 820 persone di cui 450 minori. «L’ufficio postale più vicino dista 4 km e il negozio di generi alimentari è a 2,3 km. Nell’anno scolastico 2013-2014 risultano iscritti 326 minori distribuiti in 45 plessi scolastici con l’ausilio di 5 linee di trasporto scolastico. Di essi solo 4 sono iscritti ad una scuola superiore».

Il dossier stima che nel solo 2013 la spesa per questo campo è stata di 2.393.699 euro: il 46,2% per la gestione, il 31,6% per la sicurezza, il 21,4% per la scolarizzazione e solo lo 0,8% per l’inclusione sociale. Soldi che sono andati ai nove soggetti operanti: le partecipate del comune e cooperative private, tra le quali la Coop. 29 Giugno, guidata da Buzzi fino all’arresto del 3 dicembre 2014. Tutti gli interventi sono stati affidati per via diretta, tranne quelli per la scolarizzazione passati attraverso due bandi.

22desk3 Campi Nomadi Castel romano
Stessa solfa per Castel Romano, sorto nel 2005 a 5 km da Pomezia, e che all’epoca ospitava 989 abitanti di cui 520 minori, originari di Bosnia, Serbia, Montenegro e Romania. In questo caso nel 2013 si spesero 5.354.788 euro per la gestione (il 70,7%), la sicurezza (il 17,1%), la scolarizzazione (il 12,2%). Ma zero (0%) per l’inclusione sociale. Soldi incassati dai 16 soggetti operanti per affidamento diretto, nemmeno un centesimo alle famiglie. Il 36,1% di queste risorse pubbliche è stato assorbito dalla Eriches 29, consorzio collegato anch’esso alla 29 Giugno. A gestire e coordinare le attività inerenti a questi «villaggi» è l’Ufficio Nomadi del Dipartimento politiche sociali, finito di nuovo sotto la lente dei magistrati, all’interno del quale operavano nel 2013 «un funzionario direttivo amministrativo che svolge il ruolo di responsabile ed un assistente sociale». Con loro operava, in stretto rapporto, un’Unità di Strada», incarico affidato in modalità diretta a una cooperativa.

Nel dossier, come pure in quello messo a punto dall’associazione Lunaria, si trovano anche soluzioni concrete. Nulla di astruso: progetti dettagliati già studiati altrove, in Europa. Dove l’Italia è conosciuta come «il Paese dei campi».