Immagini della Malatestiana di Cesena aprono il volume. Si scaccia come una mosca la domanda, via, se ci fece mai una capatina Marino Moretti quel mercoledì che pioveva, per sottrarsi alla consueta malinconia, aggiuntovi il rammarico per lo sposalizio della sorella. Si vede invece lì, in quel cerchio solenne e intatto, un’icona del Novecento nostro e della Provincia e della Letteratura: ci lavorava Renato Serra, prima di uscire furtivo per non prendere fucilate dai mariti delle sue amanti. Un cerchio magico, il suo posto in biblioteca, come quello del ramingo Walter Benjamin, impegnato a tessere la tela dei Passages nella vecchia National di Parigi (anche la nuova non è male, in una piazza rialzata sul Lungosenna).
I milioni di volumi squadernati per l’universo nel corso dei secoli inducono a voler capire quante cose insieme sia una biblioteca e, in essa, il libro: una storia mitologica della lettura, come, ognun lo sa, ha ripetuto Borges, riconoscendovi una figura di Babele; oppure, in modo meno fantastico, uno dei luoghi dell’apprendimento e della trasmissione della conoscenza e dunque di conservazione più o meno neutra del sapere umano (chiamiamolo così): è per l’incrocio di queste linee che l’idea di biblioteca è sempre oscillante tra cimiterialità e brulicare di vita. Ma in quanto muratura e legno e metallo la biblioteca è architettura; in quanto luogo sociale, privato o pubblico è un segnale urbanistico, uno snodo o un’immagine di città. Infine, la biblioteca emargina il feticcio del canone, confuso e sempre equivoco. Ma la domanda resta: come mai scegliamo tra così pochi libri, brevità della vita a parte? Chi non ha mai avuto a che fare con coloro che credono sempre che in un altro libro si celi la verità delle cose, e leggono così solo libri che nessun altro legge?
Un volume di grande formato e magnificamente illustrato: James W.P. Campbell, La biblioteca. Una storia mondiale, fotografie di Will Pryce (Einaudi, pp. 328, euro 75,00), ripercorre per noi questa storia avvincente (nonostante la parte illustrata si tratta un libro anche molto da leggere, solidissimo nell’impianto di studio e pieno di indicazioni anche sulla storia del libro come oggetto intrecciato a contesti continuamente mutati).
Campbell e Pryce hanno visitato ottantadue biblioteche in ventuno Paesi: «Ho trascorso innumerevoli ore felici studiando la storia delle biblioteche nelle biblioteche stesse e ho avuto la fortuna di visitarne molte normalmente non accessibili al pubblico», scrive Campbell nella prefazione, lasciando intravedere come siano connessi il discorso spaziale e quello temporale; e aggiunge: «Nulla può sostituire l’esperienza diretta di un edificio», che è affermazione vera anche per spazi non edificati, come il famoso mare in cartolina. Però, suscitando desideri che non saranno soddisfatti, le foto interpretative di Pryce leniscono un po’ il rammarico di chi non ha avuto medesima ventura.
Il criterio di selezione delle biblioteche poggia su una constatazione di evidenza: che, lungi dall’avere una forma statica e immutabile nel corso dei secoli, questi edifici hanno subito nella loro storia continui adattamenti a nuove esigenze. L’esigenza più pressante è diventata adesso lo spazio in cui custodire una quantità di volumi in continua crescita, non fermata dall’incremento della scelta di digitalizzare sempre di più. Le biblioteche rischiano anch’esse di diventare un non-luogo? Si direbbe di no, ma l’ultimo capitolo, che si sporge sul «futuro delle biblioteche nell’èra elettronica», si pone il problema di quel che furono sono e saranno i magazzini (si veda il caso esemplare della Bodleian Library, Swindon, Regno Unito: otto milioni di libri in enormi colonne verticali, «collocati in vassoi di plastica e prelevati usando montacarichi speciali che sollevano l’operatore fino allo scaffale, dove questi può aprire le scatole e prendere il libro richiesto. I volumi e le scatole sono tutti dotati di codici a barre e un sistema elettronico di reperimento traccia il percorso dei libri dalla richiesta del lettore fino alla consegna alla biblioteca, a Oxford». Una soluzione che somiglia questi depositi ai magazzini Ikea o Amazon, con altro scopo, ma con gli stessi segni del tempo).
Nelle foto di tutto il libro colpisce la disposizione dei volumi negli scaffali: come se il discorso bibliotecario avesse un proprio ordine, autonomo da quel che i libri dicono. E già i sommari che aprono i singoli capitoli offrono suggestioni e informazioni: letti di seguito danno l’idea di un concentrato della vicenda umana dentro la civiltà della scrittura, a partire dalla culla dell’Oriente antico, dove vengono allevate idee concepite chissà quando: l’enciclopedia che raccoglie tutti i libri del mondo, la raccolta del sapere dell’accademia, l’archivio amministrativo, le biblioteche private e quelle pubbliche. Ed ecco passare sotto gli occhi le colonne che accoglievano i lettori nella turca Efeso; i resti della biblioteca posta a Pergamo dentro l’area del tempio di Atena e che cedeva per grandezza solo alla leggendaria meraviglia di Alessandria; e le biblioteche di Roma: la Palatina eretta sotto Augusto e, dentro le rispettive terme, quelle di Traiano (anche nel foro) e di Caracalla. Non c’è quella delle Terme di Diocleziano che ora, per dir così, riapre i battenti: ma che idea pensare insieme alla sanità di mente e corpo, come nel famoso adagio, costruendo a due bracciate piscina e biblioteca, che, chi lo sa, sarà stata, per non lasciare stridere il complesso architettonico, una biblioteca principalmente di relax. Ci si domanda se abbiano avuto a risentirne (con polemiche), se abbiano insomma preso umidità le pergamene, sviluppando quelle tipiche gore e parti ondulate e arricciate.
Le foto, ammirevoli per contenuto critico, sono il risultato di una apposita campagna; il testo, dopo l’introduzione, si articola in otto capitoli: i primi due trattano le biblioteche nel mondo antico e nel medioevo (aperto da Giappone e Corea e proseguito dalla Malatestiana che si è citata, e siamo a metà Quattrocento); i cinque seguenti ognuno un secolo: il Sedicesimo, qui aperto dalla Cina, e sostanziato dallo splendore di Venezia nella Marciana e di Firenze nella Laurenziana; dall’oxoniense Merton College…; il Diciassettesimo accecato dai colori della biblioteca dell’Escorial; l’Ottocento che segna l’irruzione delle biblioteche americane, a Washington, Boston, Baltimora, Filadelfia; il Novecento tecnologico ma anche raccolto e quasi ascetico come alla Civica di Stoccolma o a Jiaojiehe, in Cina, a due ore di auto da Pechino, enigmatica e vegetale all’esterno, tutta compresa nel paesaggio, e dagli interni in ramoscelli piegati e incuneati tra binari arrugginiti; e il Novecento dagli ampi spazi funzionali come a Berlino o a Delft o a Città del Messico; e così via. Non si ha che da sfogliare. Ma si ha da leggere per sapere che cosa tecnicamente significhi, un esempio solo tra centinaia, il sistema a muro. Per minimizzare il taglio delle pelli, i volumi vengono inizialmente realizzati in folio, quasi a grandezza dell’animale dal quale la pelle arriva. Le nuove macchine rendono i libri via via più piccoli, piegando i fogli. Così cambia la grandezza di scaffali e leggii, e i libri possono essere agevolmente raccolti lungo le pareti, in nuovi scaffali, verticalizzandosi anziché, come era per la loro mole antica, occupare l’intera stanza. Sono snodi storici silenziosi, che assestano con varia e laboriosa calma ciò che chiamiamo civiltà.