La campagna sulle dimissioni di Giuliano Poletti da ministro del lavoro si è fermata alle porte del Senato. Le hanno chieste le opposizioni parlamentari, mentre la rete ribolle di indignazione dopo le brutali dichiarazioni di Poletti contro i giovani all’estero: «Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Ieri è intervenuta Anna Finocchiaro, la neo-ministra per i Rapporti con il Parlamento, che ha annunciato la disponibilità di Poletti a rispondere in aula il 10 gennaio alla ripresa dei lavori. La richiesta iniziale, giunta dalla Lega e da Sinistra Italiana, era di sentire Poletti oggi, a polemiche ancora calde. È presumibile, ma non scontato, che Poletti nelle prossime settimane terrà il profilo basso.

IN UN VIDEO, ieri ha detto di «stare veramente male» e ha ribadito le «scuse», passate inosservate nello tsunami che lo ha travolto. «Mi scuso con tutti, so di avere sbagliato» ha detto. «Associo le mie scuse alle sue», ha aggiunto Finocchiaro. Una strategia con la quale il governo Gentiloni ritiene di congelare gli effetti delle ultime uscite. Attorno al co-autore, con Renzi, della riforma dei contratti a termine, del Jobs Act e dell’estensione dei voucher, si è formato un cordone sanitario.

SINISTRA ITALIANA sta raccogliendo le firme per sfiduciare il ministro e ha presentato un Ddl che stabilisce, in caso di concomitanza tra svolgimento di elezioni e referendum sul Jobs Act, l’accorpamento automatico delle consultazioni. Il movimento Cinque Stelle presentato una mozione di sfiducia. La contestazione è esondata dalla rete. Il collettivo Hobo di Bologna ha rivendicato le scritte apparse sui muri della sede di Legacoop: «Poletti: oggi maiale, domani prosciutto».

NELLE ULTIME ORE è iniziata una fitta corrispondenza con il ministro. Precari e ricercatori italiani all’estero gli scrivono, su blog, social media e siti di informazione esprimendo indignazione. Tra le “epistole” più interessanti, e paradossali, va segnalata quella sulla dissociazione di duecento “giovani del Pd”: “A nulla sono servite scuse e rettifiche, perché quello che per lei potrà rappresentare un piccolo inciampo politico, per la nostra generazione rappresenta invece una dolorosa quotidianità” scrivono a Poletti. Ci si chiede dove siano stati questi giovani quando veniva approvato il Jobs Act e i loro coetanei manifestavano in massa (e in rete) contro le politiche di Poletti. O quando il loro governo propagandava dati falsi, o imprecisi, sul “successo” della riforma del lavoro, mentre i voucher crescevano mese dopo mese. Finito Renzi, è rimasto Poletti a fare da bersaglio facile, con la sua improntitudine. Sotto Natale, il ministro del Lavoro è solo.

LE NORME SUI VOUCHER vanno modificate per frenare il boom e va ristabilita la normativa Biagi del 2003. Un modo per neutralizzare una parte del referendum della Cgil sul quale si pronuncerà la Consulta l’11 gennaio. Sono queste, in sostanza, le richieste della sinistra Pd al governo Gentiloni. Dopo avere votato tutto l’invotabile nei mille giorni renziani, questa compagine diversificata ha escluso il ripensamento totale del Jobs Act. Una prospettiva confermata dallo stesso Poletti il quale ha aperto a una modifica sui voucher. Il problema del liberismo di stato ad uso dei privati, e a danni della collettività, è assente dal dibattito post 4 dicembre. La polemica è su un aspetto drammatico, ma secondario della riforma, quello del lavoro accessorio, non sull’impianto o sull’ideologia che ispira il Jobs Act: il sistema della precarietà e l’assistenzialismo statale alle imprese. Renzi ha sbancato il bilancio regalando 11 miliardi in sgravi contributivi triennali senza ottenere un significativo aumento dell’occupazione.

L’EX SEGRETARIO PD Pierluigi Bersani, teorico della mucca nel corridoio, ha definito «un po’ rustico» il corregionale Poletti. Chiede di «correggere la legge» sui voucher. Vanno bene per le badanti e per il nero ma che siano diventati il modo ordinario con cui i giovani si mettono a lavorare è umiliante e ingiusto». La controffensiva è minimalista e rilancia uno dei miti sulla «post-verità» renziana che oggi fa comodo: i voucher servirebbero all’emersione del lavoro nero. Come ha dimostrato la prima ricerca Inps sulla materia, «Il lavoro accessorio dal 2008 al 2015», i voucher oggi sono invece un moltiplicatore del «nero», prestazioni associate molto spesso al lavoro part-time. Nelle tensioni che aspettano il governo Gentiloni ci saranno anche quelle con gli alleati di governo che si stanno preparando alla battaglia referendaria contro la Cgil e non digeriranno facilmente le modifiche ai voucher.

CAPITOLO ARTICOLO 18. Bisogna tenersi forte, Bersani ne ha detta un’altra: «Io non sono per rimettere l’articolo 18…ma almeno un 17 bisogna metterlo». Cosa di preciso significhi non è chiaro, di certo non rientra in una discussione – ancora tutta da istruire – di un ripensamento globale delle leggi sul precariato e per le tutele universalistiche per i lavoratori, e non solo.

 

*** 4 dicembre 2016: chi ha perso la guerra dei dati sul Jobs Act
Un bilancio del governo Renzi. Hanno perso precari, disoccupati, lavoratori poveri. Nulla è stato fatto per cambiare la loro vita. Questo è il racconto di due anni di info-guerriglia sul Jobs Act.

*** Jobs Act, i miti della «post-verità» di Renzi svelati in quattro mosse

Jobs Act. Dal «contratto a tutele crescenti» ai voucher «strumenti di lotta al lavoro nero»