Prima di tutto, è necessario commentare brevemente la proposta di Rampelli fratello d’Italia di sospendere le puntate programmate del commissario Montalbano, per non turbare la serenità del voto. La presenza di Luca Zingaretti potrebbe alterare gli equilibri a favore del fratello candidato? Mi faccia il piacere, per citare il grande Totò. La tragedia, com’è noto, diventa farsa. Il raffronto con il caso di Rita Dalla Chiesa non sta in piedi. Luca Zingaretti non interpreta il fratello.

Torniamo al tema.
La lettura delle tabelle sulle presenze radiotelevisive dei partiti e delle liste elettorali nel periodo caldo della par condicio, iniziato con il deposito delle candidature, non può essere superficiale. Parliamo del periodo rilevato, che intercorre tra il 21 agosto e il 3 settembre.
Ad una scorsa superficiale appaiono già evidenti alcune storture ormai classiche nell’Italia del conflitto di interessi e dell’inaudito intreccio tra media e politica.

Per esempio, il privilegio garantito come negli anni ruggenti da Mediaset a Forza Italia. Del resto, il salotto berlusconiano fa bella mostra di sé anche nella trasmissione di Bruno Vespa.
Ma torniamo ai telegiornali del biscione. Forza Italia va dal 20,32% del Tg4, al 13,35%% dell’omologo di canale 5, al paradossale 36,68% di Studio Aperto. Per correttezza prendiamo le soglie percentuali del tempo di parola che premono sull’intera platea politica ed istituzionale, perché quelle declinate solo sui partiti darebbero risultati persino più allarmanti.

Così, il primato offerto da Sky alla Lega di Salvini risulta chiaro, come pure colpisce l’incoronazione ante litteram decisa da La7 di Fratelli d’Italia, sia nel tempo di notizia sia in quello di parola. A dire il vero la situazione cambia nei talk collegati alla testata. Tuttavia, i numeri non sono un’opinione.
Nelle testate della Rai si distingue ancora una volta il Tg2, dove il partito di Giorgia Meloni ha surclassato l’antico idillio leghista. Laggiù, si sa, i riflessi sono sempre prontissimi.

Malgrado la new entry della leader di FdI, le donne sono smisuratamente meno presenti: il 15% del tempo di parola rispetto all’85% appannaggio del mondo maschile. La radio è altrettanto segnata dalle culture patriarcali (18% vs 82%), ancorché vada meglio del video quanto a (approssimativo) riguardo del pluralismo.
Un elemento assai discutibile è, inoltre, la scelta di regalare diversi minuti alla compagine del ministro Di Maio, visto che il gruppo di 5Stelle si riferisce ufficialmente a Giuseppe Conte. Come appare una scelta deliberata a tavolino la spinta mediale di cui gode Azione-ItaliaViva, davvero sovrastimata.

Esiste, però, un ulteriore livello di lettura delle tabelle, che potrebbe sfuggire.
Si tratta della quasi cancellazione delle forze che si collocano a sinistra del partito democratico o, comunque, fuori dal perimetro considerato ufficiale. Sono cifre terribili e toccano la sottovalutazione dell’Alleanza Verdi e Sinistra, la cancellazione di Unione Popolare. Il discorso va allargato a Italexit o al partito dei comunisti italiani o all’autonominatasi Italia Sovrana, e non solo. La legge c’è ed è netta.

Nell’ultimo miglio le pari opportunità sono da tutelare in modo integrale. Non bastano generici richiami senza sanzioni. Se non si agisce immediatamente, si arriverà al giorno del voto dopo una campagna elettorale vaga nei contenuti o nei programmi e segnata da squilibri lesivi del diritto di essere informati.
Altro è il capitolo delle tribune trasmesse dal servizio pubblico, condotte con equilibrio e premiate – malgrado orari di messa in onda a dir poco alquanto infelici- da non malvagi indici di ascolto.

A proposito della compagine di Urbano Cairo, sopra citata con la sua espressione de La7, va sottolineato che l’antico giornale della borghesia italiana ha bellamente aggirato la par condicio con il confronto a due su Corriere-tv tra Enrico Letta e Giorgia Meloni. Non ha violato la legge, ovviamente, visto che un sito non è una televisione. Che sarebbe successo, però, se il testa a testa fosse stato dirottato – dopo il saggio divieto dell’Agcom – su RaiPlay?