Il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, «con un accordo collusivo, anteponeva all’interesse pubblico la convenienza personale»: sono le parole usate dalla Procura di Milano nell’atto di chiusura delle indagini sulla fornitura di camici da parte di Dama spa a Regione Lombardia. Il reato è quello di frode in pubbliche forniture e, secondo i pm milanesi, il governatore lombardo lo avrebbe commesso in relazione alla finta donazione di materiali «per arginare il pericolo del Covid».

POTREBBE DUNQUE profilarsi la richiesta di rinvio a giudizio per Fontana, che resta indagato insieme ad altri 4 a cui la Procura ha notificato la chiusura delle indagini: Carmen Schweigl, direttore acquisti di Aria spa, Filippo Bongiovanni, ex dg della partecipata regionale, Andrea Dini, a.d. di Dama e Pier Attilio Superti, vicesegretario generale di Regione. Nonostante il legale di Fontana, l’avvocato Pensa, provi a smarcare il suo assistito dalle accuse definendo «fantasioso» il capo d’imputazione e tacciando i pm di aver «inventato a tavolino» l’impianto accusatorio, le possibilità che il governatore leghista debba affrontare un processo sembrano essere concrete.

Secondo i pm, la frode riguarda l’ordine datato 16 aprile 2020 (in piena pandemia) con cui Dama «società al 90% di Dini, cognato di Fontana, e al 10% di Roberta, moglie di Fontana – scrive la Procura – si obbligava a fornire ad Aria – quale centrale acquisti di Regione Lombardia – l’approvvigionamento di dispositivi di protezione».

NELLO SPECIFICO: 75.000 camici dpi di III categoria e 7.000 kit (camice, cappellino e calzari), per la cifra monstre di 513.000 euro. «Beni acquistati dall’amministrazione pubblica per fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19 (a cui Dama aveva già inoltrato ulteriore e successiva proposta di fornitura di 200.000 camici per un prezzo di euro 1.200.000)». Sempre secondo le carte della Procura, la frode sarebbe consistita in «artifizi messi in opera da Fontana una volta emerso il conflitto di interessi» per i rapporti di parentela con la società del cognato «nel tentare di simulare l’esistenza di un contratto di donazione» al posto di quello di fornitura retribuita.

INSOMMA, un tentativo ex post di coprire un’irregolarità pregressa: una donazione fittizia il cui goffo tentativo di “risarcimento” è stato smascherato da un maldestro tentativo di pagamento – mai andato a buon fine – da un conto in Svizzera intestato proprio al governatore. La Lega prova a fare quadrato intorno a Fontana ma per le opposizioni in Regione, la misura è colma: il Pd chiede le dimissioni, definendo Fontana non più autorevole per governare. «Ha mentito e ha perso ogni credibilità», fanno sapere in una nota i dem. «Il reato ipotizzato – aggiungono nel testo – è grave, la fase drammatica in cui si trovava la Lombardia (quando è stato commesso il fatto, ndr) è un’aggravante, non una scusante, come i colleghi di maggioranza provano ad accreditare». Circa un anno fa, proprio grazie al voto contrario della maggioranza compatta e qualche astenuto, Fontana si era salvato da una mozione di sfiducia.

L’ALTRA SPONDA dell’opposizione, il M5s, si è presentata sotto la sede della Giunta con i camici addosso, protestando animatamente: «Con questa inchiesta, Fontana ha trascinato la Lombardia, come Maroni e Formigoni, nelle aule dei tribunali. I lombardi meritano una guida al di sopra di ogni sospetto». I legali di Fontana avranno ora 20 giorni per depositare la memoria difensiva o richiedere un interrogatorio.