I conflitti iniziano così: uno sciopero, l’ignavia di una classe politica, la boria del potere, l’abbandono di un territorio, la perdita della memoria storica e all’improvviso spuntano le armi. La storia dell’ovest del Camerun non fa eccezione.

Nelle cosiddette provincie anglofone ci si è presto dimenticati che il Paese era una federazione tra i due Camerun (francofono e anglofono, che derivavano da due distinti colonialismi), si è visto con distacco il malessere degli abitanti, si è sorriso, nell’ottobre 2016, di fronte allo sciopero degli avvocati delle regioni anglofone contro la nomina di giudici di lingua francese nei tribunali locali. Le proteste sono state interrotte nella città di Bamenda l’11 ottobre di quell’anno dal lancio di gas lacrimogeni.

Ne è seguito un conflitto che si è continuamente intensificato, cronache quotidiane segnalano attacchi e rappresaglie, morti e rapimenti, nascita di gruppi separatisti armati, una presunta nazione, l’Ambazonia (da Ambas Bay, la regione a ovest della baia del fiume Mungo), migliaia di sfollati interni e nella confinante Nigeria. Si era pensato che con la quinta rielezione l’86enne Paul Biya avrebbe svolto un ruolo di conciliazione e avviato, come chiesto da tutti gli interlocutori internazionali, un dialogo genuino. Ma la violenza non accenna a diminuire.

Mercoledì è stato rapito nella sua residenza di Ntabesi, un sobborgo di Bamenda, Emmanuel Ngafeson (ex segretario di Stato presso il ministero della Giustizia, responsabile dell’Amministrazione penitenziaria). Sequestrati nello stesso giorno anche 15 studenti dell’Università Buea, tutti membri della squadra di calcio dell’università. Lo scorso 5 novembre era toccato a 80 studenti della Presbyterian Secondary School di Bamenda e poi il 16 febbraio a 170 studenti del campus del Saint Augustine’s College a Kumbo, tutti successivamente rilasciati.

Nei giorni scorsi il responsabile per l’Africa del governo Usa, Tibor Nagy, in visita nel Paese ha ribadito, oltre alla necessità del dialogo, che «un’efficace attuazione del decentramento è la via per uscire dalla violenza». Si è poi soffermato sull’arresto del leader dell’opposizione Maurice Kamto e di altri 145 membri del Mouvement pour la renaissance du Cameroun: «La percezione è che siano stati arrestati per la loro attività politica. Vedremo cosa dirà la magistratura, ma la percezione è spesso realtà».

Il governo, attraverso il ministro della Comunicazione, René Emmanuel Sadi, si dichiara disponibile al dialogo, ma le violenze continuano. Sempre l’altro ieri si sono verificati scontri armati tra le forze di sicurezza e i combattenti indipendentisti a Bambalang, con un bilancio di almeno tre separatisti e cinque soldati morti; ieri diverse case sono state incendiate nel villaggio di Zonghefu e i testimoni accusano l’esercito. E a Yaoundé sempre nella mattinata di ieri è stata arrestata senza apparente motivo e poco dopo rilasciata la giornalista Adrienne Engono Moussang.

Le parole ci sono, ma i fatti negano i presupposti del dialogo.