Con la rielezione piena di Paul Biya si pensava possibile l’inizio del processo di stabilizzazione della situazione politica in Camerun, in particolare per porre fine al conflitto che coinvolge da ormai tre anni le regioni anglofone del paese, ribattezzate dagli insorti Ambazonia (da Ambas Bay, la regione a ovest della baia del fiume Mungo).

Tuttavia, dopo quasi un anno dal voto la destabilizzazione continua a crescere e la comunità internazionale che si era mossa con l’invito al dialogo negli ultimi mesi sta cambiando atteggiamento. Gli Usa hanno ridotto gli aiuti militari e appoggiato il primo vertice del Consiglio di sicurezza dell’Onu sul conflitto nelle regioni anglofone. Il 23 luglio, il Congresso ha adottato una nuova risoluzione che condanna «gli abusi commessi dalle forze di sicurezza» in quel contesto e raccomanda «un dialogo senza precondizioni». Lo scorso aprile il parlamento europeo ha votato una risoluzione sul Camerun soffermandosi in particolare sul leader dell’opposizione Maurice Kamto da «rilasciare immediatamente insieme agli altri detenuti politici». Il Forum degli ex capi di stato e di governo africani per la pace sta organizzando un simposio il cui obiettivo è trovare una soluzione duratura al conflitto. Anche la Svizzera è intervenuta, proponendo un percorso di mediazione.

Al momento il conflitto nelle aree anglofone ha provocato 1.850 morti, 530 mila sfollati interni e almeno 35 mila rifugiati in Nigeria. Il leader del movimento separatista Sisiku Ayuk Tabe e altri membri sono stati arrestati e condannati all’ergastolo. Si ritiene che al momento i sette gruppi ribelli attivi possano contare su circa 4000 miliziani, tra cui anche cittadini nigeriani reclutati tra le disciolte milizie del Delta e criminali comuni. Secondo i dati forniti dal ministro della Pubblica Istruzione Laurent Serge Etoudi, 4.482 scuole primarie e materne (su 5.377) sono chiuse o distrutte.
L’analista politico Yuhniwo Ngenge denuncia anche l’aumento di tensioni di tipo etnico, emerse in modo significativo durante le elezioni presidenziali dello scorso ottobre, in particolare tra i Bamileke (38% della popolazione) e i Beti (18%). L’asse politica-etnia è stato ampiamente utilizzato durante la campagna elettorale, ma non ha avuto seguito nelle urne, dove alla fine ha vinto Biya (Beti) contro Kamto (Bamileke), a meno che non si dimostrino brogli elettorali tali da ribaltare il 71% del presidente.

Intanto nel nord del paese a Minawao è partito il primo rimpatrio volontario di rifugiati nigeriani (perché la complessità della situazione è data dalla presenza di rifugiati nigeriani in Camerun, almeno 90 mila, che si sommano ai 260 mila della Repubblica centrafricana) e non si sa se considerarla una bella notizia, se i rifugiati valutino che ci sia maggiore sicurezza nella Nigeria da cui sono scappati.

133 sfollati sono rientrati a Yola, nello stato di Adamawa, Nigeria, dopo aver lasciato il campo profughi di Minawao. Secondo Mylene Ahounou, capo dell’ufficio Unhcr Maroua, in Camerun, più di 2.000 rifugiati hanno espresso il desiderio di seguirli.