C’è una singolare convergenza tra i governi del Camerun e della Nigeria che sembra frutto di un accordo: ognuno si tiene i suoi. Se la Nigeria rimpatria in modo forzato i leader dei movimenti secessionisti delle regioni anglofone, in primis Sisiku Julius Ayuk Tabe, nonostante avessero presentato domanda di asilo politico, lo stesso trattamento ricevono i nigeriani che avevano trovato rifugio in Camerun dalle bombe di Boko Haram.

Situazione che ha portato l’altro commissariato per i rifugiati ad esprimere la sua profonda preoccupazione «per il continuo ritorno forzato in Nigeria di rifugiati e richiedenti asilo dalla regione del nord del Camerun».

Nonostante gli sforzi di advocacy dell’Unhcr e l’impegno con le autorità, 385 nigeriani sono stati rimpatriati forzatamente dal Camerun dall’inizio del 2018. La maggior parte in questi giorni di aprile. Il 10 aprile, 160 rifugiati nigeriani e richiedenti asilo sono stati rimpatriati con la forza nello stato di Borno in Nigeria. Seguiti, il 17 aprile, da altri 118 arrivati in Camerun solo due giorni prima, in fuga dalle violenze di Boko Haram. Nel Borno restano alte le condizioni di insicurezza per la popolazione civile. Per la cronaca, solo lo scorso 23 aprile 18 persone sono state uccise mentre raccoglievano legna nella zona di confine con il Camerun, 3 sono morte per l’esplosione di una mina e 4 nell’attentato suicida contro una moschea a Bama.

I rimpatri forzati sono una violazione del principio di non-refoulement (non respingimento) – nessuno espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciati -, uno dei cardini della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati. Non è una questione da poco perché riguarda la vita degli 87.600 rifugiati nigeriani che le Nazioni unite hanno registrato in Camerun e degli almeno 43.000 rifugiati camerunesi in Nigeria.

Per contro il governo del Camerun è alle prese con due questioni di sicurezza: da un lato i ribelli delle zone anglofone, che negli ultimi tempi hanno intensificato gli attacchi contro l’esercito; dall’altro Boko Haram, i cui seguaci possono confondersi tra i rifugiati per compiere attentati. Ma, ripete l’Unhcr «la protezione dei rifugiati e la sicurezza nazionale non devono essere considerate incompatibili. Sistemi di screening, registrazione e asilo correttamente funzionanti aiutano a salvaguardare la sicurezza del paese ospitante».

Sicurezza e accoglienza appaiono sempre più un trade-off che mette in crisi anche i governi più teneri.