Non c’è storia, la riforma costituzionale che riduce i parlamentari così tanto da fare dell’Italia il paese con il più alto rapporto tra cittadini e rappresentanti in Europa sarà approvata definitivamente nella seconda settimana di ottobre, probabilmente martedì 8. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo della camera con l’ok di tutta la nuova e la vecchia maggioranza. La legge di revisione costituzionale è stata votata già tre volte – sempre con il voto contrario di Pd e Leu – e in questa seconda deliberazione non può essere emendata. I 5 Stelle esultano, rivendicando il risultato «storico» e Di Maio non dismette i toni da padrone della maggioranza: «L’ok al taglio dei parlamentari è la prova di lealtà del Pd. Voglio vedere chi avrà la faccia di votare contro», dichiara. E subito liquida le aspettative degli alleati sulla riforma della legge elettorale, il più importante dei contrappesi che Pd e soprattutto Leu chiedono per accompagnare il sì al taglio dei parlamentari. Di legge elettorale adesso il capo politico dei 5 Stelle non vuole parlare: «Ai cittadini non interessa».

Interessa invece agli alleati. Il capogruppo del Pd Delrio batte lo stesso tasto della lealtà – «siamo persone serie e di parola» – ma, aggiunge, «siamo molto fiduciosi che tutti gli emendamenti alla legge costituzionale sull’elettorato attivo e passivo siano pronti per essere presentati, insieme alla revisione dei regolamenti di camera e senato e a una bozza di legge elettorale che se non è ancora pronta è perché la maggioranza deve discuterla». In effetti di pronto non c’è proprio nulla e al 7 ottobre mancano dieci giorni: Pd e Leu hanno firmato ai 5 Stelle una cambiale in bianco. Il capogruppo di Leu Fornaro ricorda ai grillini quali sono i patti: «I tempi di approvazione possono essere diversi, ma la riduzione dei parlamentari deve essere accompagnata dall’avvio di una legge di riforma con nuove garanzie costituzionali e di rappresentanza democratica, oltre all’apertura di una discussione sulla legge elettorale».

Dunque il taglio dei parlamentari arriva immediatamente e il resto si vedrà, vincono i 5 Stelle. Nulla, se non le esigenze di propaganda di Di Maio, impediva di tenere fermo il taglio dei parlamentari per il tempo necessario. Salta così la «contestualità» tra le riforme, promessa anche da Conte. Si possono solo studiare gli accorgimenti tecnici per non buttare a mare con 345 parlamentari (230 deputati e 115 senatori in meno) la rappresentanza e il pluralismo.

RIMEDIARE AL DANNO con la legge elettorale è difficile. Solo un proporzionale puro con una soglia bassa di sbarramento potrebbe attenuare i danni, era l’ipotesi di partenza ma ormai il Pd l’ha abbandonata. In ogni caso sulla legge elettorale si entrerà nel vivo molto più avanti nella legislatura. Una soluzione è stata individuata, allora, in una modifica dell’articolo 57 della Costituzione (le «nuove garanzie costituzionali» di cui parla Fornaro), eliminando il principio per il quale il senato è eletto «a base regionale». In questo modo qualsiasi partito che supererà lo sbarramento, attraverso il riparto nazionale si vedrà garantiti un numero almeno minimo di senatori (come di deputati). E si potrebbero accorpare alcune regioni, in modo da lasciare residue chance alle liste più piccole.

L’incognita è sui tempi. Il «treno» è la legge di cui è stato relatore il dem Ceccanti sull’abbassamento dell’età per votare al senato, legge già approvata dalla camera. Al senato dovrebbe trovare spazio l’emendamento all’articolo 57, assieme ad altri sull’abbassamento dell’elettorato passivo e la partecipazione alle sedute dei governatori. E se questa seconda legge costituzionale riuscisse ad essere approvata entro febbraio-marzo, resterebbe in piedi l’ipotesi di convocare un referendum unico su tutte le riforme giallo-rosse (anche un po’ giallo-verdi).