E’ una pace fredda. Dopo il brindisi, ecco che torna il gioco del Risiko. Lega e 5 Stelle riprendono a occupare ognuno i propri territori nel tentativo di compiacere i rispettivi elettori. Lo fanno persino con più dedizione, perché con il nuovo anno comincia la lunga (5 mesi) campagna elettorale delle europee. Devono continuare a farlo senza mettersi di traverso rispetto alle aspettative degli alleati, il governo Conte si regge su una sorta di Yalta gialloverde che prevede sfere di influenza non negoziabili. Alla Lega la sicurezza, per questo a gennaio riprende in commissione giustizia alla camera l’esame della legge sulla legittima difesa. Un allargamento delle maglie dell’autodifesa armata giudicato nefasto da tutti gli operatori del diritto che (almeno alcuni tra) i 5 Stelle restringerebbero un po’ rispetto a quanto approvato dal senato, ma che Salvini non vuole toccare considerando la legge una contropartita dell’anti corruzione che i leghisti hanno appena ingoiato di mala voglia. Una contropartita. Il secondo colpo che il ministro dell’interno indende piazzare è altrettanto identitario – l’autonomia rafforzata delle regioni, a cominciare si intende da quelle del nord – e già fissato nei tempi. Lo ha deciso l’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno: il 15 febbraio il governo farà la lista delle maggiori deleghe che lo stato centrale lascerà al Veneto e probabilmente anche alla Lombardia. Con relativa attribuzione di risorse, per questo è stata definita la “secessione dei ricchi”. Non è detto che il percorso andrà a compimento entro le europee, serve infatti una legge per ogni regione da approvare con maggioranza assoluta nelle due camere. Ma per Salvini è un argomento per riconquistare quelli elettori della tradizionale base nordista insoddisfatti dell’alleanza con Di Maio.

Il contropiede grillino punta sul reddito di cittadinanza. Si sa com’è andata con la manovra: la legge di bilancio ha previsto i fondi per i due provvedimenti bandiera degli alleati – reddito e quota 100 – ma ha rimandato a due decreti da approvare in uno dei primi consigli dei ministri di gennaio la definizione concreta delle misure. Per il reddito di cittadinanza nel 2019 ci sono circa sei miliardi (più uno da destinare ai centri per l’impiego), per le pensioni circa quattro. Ma dal 2020 il costo delle misure simbolo di 5 Stelle e Lega è perfettamente allineato a otto miliardi ciascuna. Salvo che nella legge di bilancio è prevista una compensazione tra i due fondi destinata ad alimentare la contrapposizione tra i due soci di governo: eventuali risparmi sulle pensioni arricchirebbero il capitolo del reddito e viceversa.

I 5 Stelle cercheranno infine di (ri)conquistare terreno sul versante delle riforme costituzionali. Ne hanno due in marcia: la riduzione dei parlamentari che è già stata approvata in commissione al senato e che dovrà cominciare il cammino in aula. E’ una riforma semplice e prevedibilmente popolare, la Lega non è rimasta a guardare e con Calderoli (relatore) cercherà di intestarsela malgrado la prima iniziativa sia stata del grillino Fraccaro. Più complicato il percorso della riforma che è alla camera, l’introduzione del referendum propositivo. Prima della ripresa dei lavori d’aula ripartirà lo scontro con le opposizioni in commissione a Montecitorio. I leghisti fin qui non hanno mosso un dito.