Su Giulio Regeni Cambridge si difende: l’ateneo – dice il portavoce – non ha rifiutato la collaborazione con la Procura di Roma, al contrario «appoggia le autorità italiane nelle indagini su questo fatto orrendo». «Ci sono stati rapporti inaccurati dall’Italia – si legge nel comunicato inviatoci dall’Ufficio Comunicazione di Cambridge – che suggeriscono che gli accademici di questa università rifiutano di cooperare con gli investigatori italiani e che speculano in modo erroneo sulla natura della ricerca di Regeni. La speculazione dei media distrae dal fatto che Giulio era un ricercatore innocente e che i responsabili vanno consegnati alla giustizia».

Eppure a sovrastare tali dichiarazioni resta il silenzio dei quattro che di fronte agli inquirenti italiani volati in Gran Bretagna hanno reagito con un “no comment”. Tra loro la tutor di Giulio, Maha Abdelrahman, ora in anno sabbatico: una fonte citata dal Times dice che la decisione di non rispondere è stata presa dopo aver preso visione delle domande.

Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere citando una norma interna all’ateneo che permette di non rivelare dettagli sulle attività accademiche. Ma una simile difesa non ha basi solide: dai responsabili della ricerca di Regeni gli inquirenti italiani si aspettavano trasparenza, informazioni che sarebbero coperte dal segreto istruttorio, salvaguardando così Cambridge e le sue normative.

Autorità ed istituzioni straniere paiono fare a gara a chi dichiara sostegno per poi negarlo. In mezzo sta la Procura di Roma, costretta a scavare nel non detto, che dal governo italiano riceve un sostegno nullo. Il silenzio di Palazzo Chigi è totale e permette alla controparte egiziana di spacciarsi per ottimo partner: la situazione dei rapporti tra Il Cairo e Roma è di «relativa calma», ha detto mercoledì il portavoce del Ministero degli Esteri, Ahmed Abu Zeid. Secondo quanto riportato da Agenzia Nova, Abu Zeid ha parlato di «una crescita del coordinamento con l’Italia e la consegna di nuove informazioni». Un rapporto così rilassato che, aggiunge il portavoce, il nuovo ambasciatore Cantini si insedierà presto.

Il Cairo minimizza, non ricevendo pressioni da Roma. A dargli una mano sono i rapporti commerciali, quelli sì solidi: ieri l’Eni, con l’inglese Bp, ha scoperto un altro giacimento di gas naturale lungo le coste egiziane, dopo il bacino Zohr individuato ad agosto. Baltim South West fa parte del più ampio Nooros, dalla portata stimata di 70 miliardi di metri cubi.

Restano così senza conferma le tante indiscrezioni sull’omicidio: a fine maggio Agenzia Nova riportava le dichiarazioni di una fonte anonima secondo cui i documenti di Giulio sarebbero stati in mano al capo degli inquirenti della stazione di polizia Shubra al-Kheima, Mohammed Serhan. Serhan avrebbecercato di convincere la famiglia di Tarek Saad, ucciso dalla polizia a marzo con altri 4 egiziani e incolpato dell’omicidio, di nasconderseli in casa. Al loro rifiuto, Gamal e Rasha Saad sono stati arrestati.

E se l’oblio cala su Giulio, immaginarsi sugli attivisti in Egitto che avevano visto nell’indignazione per la morte del giovane un potenziale riflettore sui crimini del regime. La repressione non si allenta. Un chiaro esempio ne è Ahmed Abdallah, responsabile del Comitato Egiziano per i diritti e le libertà e consulente della famiglia Regeni: in prigione dal 25 aprile, dopo oltre un mese di detenzione lunedì si è visto prolungare l’ordine di arresto di altri 45 giorni con l’accusa di aver svolto attività sovversive e aver preso parte ad una manifestazione non autorizzata.

Ma il malcontento per la legge che dal novembre 2013 vieta qualsiasi protesta spontanea sta spingendo il governo a rivederla: lo ha annunciato il ministro per gli Affari Parlamentari el-Agati, secondo cui una commissione ad hoc emenderà la normativa per renderla più conforme all’articolo 73 della costituzione, permettendo (in teoria) la scarcerazione di attivisti e semplici cittadini arrestati in massa negli ultimi mesi.