Per Alexander Kogan, il ricercatore dell’università di Cambridge al centro dello scandalo «Cambridge Analytica», Facebook è consapevole dei propri fallimenti e sa che migliaia di persone hanno sfruttato le falle della piattaforma per i propri scopi, ma ha sempre lasciato fare. Lo ha detto ieri davanti al comitato mediatico della Camera dei Comuni a Londra. Kogan ha messo in dubbio le rivelazioni del «whistleblower» Christopher Wylie che ieri è stato ascoltato al parlamento americano. «Ha inventato molte cose».

Alexander Kogan

Nessuno dei dati usati da Cambridge Analytica per la campagna elettorale di Trump nel 2016 proveniva dalla Global Science Research, l’ente per cui Kogan ha realizzato test psicologici attraverso i quali ha ottenuto i dati di 270 mila utenti. Cambridge Analytica sarebbe partita da questi dati per accedere a quelli di 87 milioni di persone – gli «amici degli amici» su Facebook. Da questo «data mining» e dalla profilazione e micro-targettizzazione sarebbero stati sviluppati software per influenzare gli elettori americani. Per Kogan è una ricostruzione «scientificamente ridicola». I dati di partenza erano «molto imprecisi» e «irrilevanti». «Gli strumenti che Facebook offre alle aziende sono molto più efficaci nel raggiungere le persone in base alle loro personalità». Kogan era convinto di agire nella legalità. «Facebook mi ha fornito i dati senza alcun accordo preliminare firmato». La firma è arrivata «un po’ dopo».

Clarence Mitchell, a nome di Cambridge Analytica, ieri ha negato che la società si fosse adoperata nella campagna pro-Brexit. Mitchell ha detto che l’idea per cui le società di consulenza politica possano usare i dati da sole per influenzare i voti è «offensiva per gli elettori. La scienza dei dati nelle campagne moderne aiuta, ma sono ancora i candidati che vincono le gare». Va ricordato che l’ideologo di estrema destra Steven Bannon, già stratega della campagna di Trump, è stato vice-presidente di Cambridge Analytica. Per Wylie «Bannon era il capo di Alexander Nix».