Costruito come una pièce teatrale a partire da un genere piuttosto praticato nel cinema del latinoamerica, quello della gioventù prestata alla malavita. Giovane futuro delinquente è Mateo (Carlos Hernandez) ragazzino che divide equamente i suoi giorni tra la scuola e gli affari, cioè la riscossione del pizzo per conto dello zio Walter che controlla la malavita del quartiere. La madre si è voluta separare dal padre quando ha capito che anche lui sarebbe finito male, fa la lavandaia con il progetto di partecipare a un’azienda agricola insieme alle sue compagne di lavoro. Controlla che il figlio si comporti bene, ma non può fare a meno di accettare una parte del suo compenso per il lavoro che svolge. Lo spinge a frequentare il corso obbligatorio di teatro che si tiene a scuola anche se Mateo cerca di evitarlo, roba da «maricon», così dice, come cantare o ballare o farsi abbracciare durante le prove. Impregnato di cultura machista è in ogni caso costretto a partecipare alle lezioni se non vuole perdere l’anno.

Il progetto teatrale prende il sopravvento compositivo e drammatico nella vicenda, per gli esercizi che via via portano il ragazzo a sciogliersi e ad accettare un’altra prospettiva, le camminate, il contatto, la fiducia che deve intercorrere tra un attore e un altro, le prove durante le quali il corpo si libera della sua fisicità.

E per la figura carismatica del professore (Felipe Botero), che è anche il parroco del quartiere, anche questa una figura emblematica incontrata in tanti film, uno per tutti, il prete delle bidoville Julian interpretato da Ricardo Darin in Elefante Bianco di Pablo Trapero. Ma qui non siamo nella sofisticata Argentina, ma in Colombia, una antica tradizione di cinema, considerato per lo più un artigianato, oggi cinematografia ricca di nuovi stimoli, con alcune sorprese.

Il film mette in scena con precisione il dramma più emblematico della storia umana, il tradimento di Giuda: Mateo accetta di partecipare alle lezioni di teatro per fare la spia allo zio sui componenti del gruppo, in modo da poterli in qualche modo incastrare. È solo un po’ alla volta che si rende conto di quello che sta facendo. La sua consapevolezza si muove di pari passo alla scoperta di un mondo diverso da quello in cui è cresciuto, di valori differenti. Il racconto è lieve e astratto, e racconta una situazione che precipita solo nella gestualità, nell’accennare drammi tanto diffusi da non costituire neanche più sorpresa. Ma, si sottolinea, nella zona del fiume Magdalena, le comunità locali, a cui il film si ispira ed è dedicato, hanno saputo reagire alla criminosa e collusa situazione locale e «hanno costruito nel tempo, una pace duratura sul territorio puntando prima di tutto sulla dignità e sul rispetto della vita». Il film è stato scelto a rappresentare la Colombia come miglior film straniero.