«Nell’epoca dell’appartenenza sempre meno solida c’è bisogno di un partito diverso: non so se sarà pesante o leggero, però sarà un partito pensante». È un Matteo Renzi ’fase tre’ quello che ieri ha discusso con Fabrizio Barca, a Firenze per presentare il suo libro La traversata (sottinteso, del Pd); archiviata la rottamazione e deposta ormai anche la guerriglia contro il governo Letta («Sull’Imu si mettano d’accordo, per me va bene qualsiasi soluzione, basta derby quotidiani»), ora il sindaco di Firenze passa alla demolizione del Pd Era Bersani per definire il cambiamento che imprimerà al ’suo’ Pd, visto che i sondaggi lo danno in netto vantaggio. «L’Italia cambia verso», è lo slogan che lancerà a Bari sabato 12 ottobre. «Nel 2013 c’è bisogno del partito, e il congresso serve a chiarirsi su che tipo di partito vogliamo. Ma il modello di Bersani, della robustezza, è fallito: gli iscritti erano 800mila, ora sono 250mila», spiega il sindaco, rilanciando il più recente dei cavalli di battaglia di Walter Veltroni.

Il partito di Bersani sarà fallito, ma certo Renzi l’innovatore dal vituperato ex leader ha ereditato una fetta pesante di grandi elettori, a partire dal ministro Franceschini e da Areadem (Fassino, Castagnetti). Di più, ieri ha presentato il coordinatore della campagna per le primarie: l’emiliano Stefano Bonaccini, altro bersaniano di ferro fino alle ultime primarie. Ieri Bonaccini ha trascorso molto tempo sui social network a spiegare la sua nuova collocazione. «I programmi di Bersani e Renzi non sono radicalmente opposti altrimenti saremmo in partiti differenti», ha twittato a chi gli chiedeva «come si fa a sostenere Renzi dopo aver sostenuto Bersani fino a ieri».

Dalla parte opposta della sfida congressuale, il tema dell’ultima gestione del partito tormenta anche Gianni Cuperlo, che per di più ha fra i suoi sostenitori proprio l’ex leader e la sua area, pronta a entrare in forze nel omitato promotore delle primarie, snodo delle candidature ai gazebo. Ieri l’ex segretario della Fgci ha trascorso il pomeriggio al terzo piano del Nazareno dove si è tenuta un’affollatissima assemblea della Costituente delle idee (la rete delle associazioni di Pietro Folena, Cesare Damiano, Vannino Chiti e i Cristiano sociali), quarta corrente (naturalmente guai a definirla così) che lo sostiene, dopo dalemiani, bersaniani e giovani turchi. Anche qui, la critica alla precedente gestione si è fatta sentire parecchio: «Dobbiamo verificare il fallimento del bersanismo, e cioè dell’idea di un autobus su cui si sale e poi a fine corsa si scende» (Mimmo Guerrieri, area Cgil). «Dobbiamo evitare che chi ha provocato il disastro di questi anni si appropri della tua candidatura» (Francesco Simoni, Laboratorio della sinistra). Persino l’anziano Franco Marini, padre costituente del partito, se la prende sì con «i partiti personali, che sono falliti dappertutto», ma poi picchia sull’unanimismo di facciata che ha accompagnato al crepuscolo la precedente segreteria. E di cui lui è stato vittima eccellente nei giorni dell’elezione del capo dello stato. «Io a Pier Luigi l’ho sempre detto: votiamo, non acclamiamo le decisioni. Qualche volta non mi ha ascoltato».

Cuperlo conosce bene il tema. «L’innovazione non sta solo altrove, qua nessuno vuole ricostruire i partiti di prima. Siamo diventati una forza più preoccupata del destino dei singoli che non di quello di tutti. La destra ha delle responsabilità profonde, ma anche tra noi qualcosa non ha funzionato». Non serve «un partito più piccolo, più di sinistra ma un partito in grado di parlare a tutti. Ma per parlare a tutti, per coltivare la famosa vocazione maggioritaria, devi parlare con la tua lingua». E qui arrivano i nodi, anche per Cuperlo. Perché, incassando il sì dei cristiano sociali, ne deve registrare i dubbi: «Non sottovalutare i temi della bioetica, né quelle persone in cammino che chiedono un confronto», gli chiede Vittorio Sammarco.

Ma il vero tormento è quello sul governo, anche nella versione «nuova maggioranza». C’è chi, come l’ex ministro Damiano, già lancia Letta per la futura premiership. E chi invece non ha ancora mandato giù le larghe intese. Si incarica ancora il cristiano sociale Mimmo Lucà a parlare chiaro: «Caro Gianni, dobbiamo ridurre il fossato fra quello che diciamo e quello che facciamo. Ci sono ministri del Pd che parlano d’altro. Siamo stati a Lampedusa: ma ora che facciamo della Bossi-Fini?».