Le edizioni Elèuthera mandano in libreria Ecologia e psicogeografia di Guy Debord (pp. 184 pagine, euro 17 euro), una significativa raccolta di scritti del teorico del Situazionismo. L’approfondita postfazione di Gianfranco Marelli, necessaria e stimolante, riassume il percorso di Debord e colloca questi scritti nell’opera complessiva del pensatore francese. I testi propongono una critica serrata all’illusione capitalista della green-economy e nello stesso tempo una riflessione sulla necessità di una visione complessa della cosiddetta questione ambientale.

LA CELEBRE E GENIALE critica alla società dello spettacolo (testo forse più citato che letto) non è scollata da queste riflessioni, ma serve da sfondo e contestualizzazione. Nell’arco di oltre trent’anni, a iniziare dal 1955, Debord si cimenta intorno a queste tematiche passando dall’individuazione della psicogeografia (lo studio degli effetti dell’ambiente, dell’urbanistica, dell’architettura sul comportamento affettivo degli individui e il loro «addomesticamento»), alle «nuisances», ovvero gli effetti nocivi del sistema industriale. Non a caso, a partire dal 1984, partecipa al progetto della Encyclopédie des Nuisances, che si prefiggeva di denunciare i diversi veleni e surrogati – non solo materiali – del capitalismo.

Ci sono almeno altri tre pensatori rivoluzionari che a cavallo degli anni ’60 e ’70 affrontano con preveggenza la questione ecologica inserendo nella stessa critica l’ambientalismo riformista (in quegli anni rappresentato soprattutto dal Club di Roma), il capitalismo e il dominio dell’uomo sull’uomo.

SI TRATTA di Murray Bookchin, che arriva al pensiero libertario dopo la militanza marxista (che non rinnega ma amplia con un pensiero complesso: si legga in proposito il suo Ascolta marxista! In Post-scarcity anarchism, ripubblicato da Bepress) e che mette a fuoco la teoria dell’ecologia sociale, che ha proprio nella critica del dominio il suo nocciolo duro. Interessante notare l’analogia tra le tesi di uno dei primi libri di Bookchin – I limiti della città (Feltrinelli) – e la psicogeografia dei situazionisti; Jean Fallot, filosofo francese, che nel 1975 pubblica Sfruttamento inquinamento guerra. Scienza di classe (Bertani editore) in cui analizza il dominio capitalista nelle sue articolazioni: «L’inquinamento è la conseguenza storicamente determinata più rilevante del sistema di dominio e dello sfruttamento»; e infine Dario Paccino, altro pensatore marxista eccentrico e irregolare da rileggere, che ne L’imbroglio ecologico (Einaudi, 1972) sosteneva che la rivoluzione è condizione necessaria ma non sufficiente per salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica, aggiungendo «certo comunque che se sussiste una possibilità di sopravvivenza, di integrazione della società con la natura, di solidarietà umana, essa è legata alla rivoluzione». In mancanza della quale dobbiamo aspettarci la morte del pianeta.

Debord ha più accordi con il pensiero di Bookchin, anche se la sua intransigenza rivoluzionaria non gli avrebbe mai permesso di condividere il «municipalismo» che successivamente l’autore americano ha proposto, e si sarebbe trovato più in sintonia con il marxismo epicureo di Fallot e la sollecitazione di Paccino alla rivolta dei «liberi-schiavi».

Il testo forse più provocatorio della raccolta è «Note sulla questione degli immigrati», del 1985. A differenza di molti ambientalisti che idealizzano la natura e, di conseguenza, cadono nella trappola identitaria e del localismo (e passo dopo passo arrivano anche alla legittimazione di gerarchie e di ruoli che vorrebbero definiti per natura), la tematica della migrazione viene sviluppata da Debord in maniera disincantata e cinica, senza nessuna idealizzazione della condizione migrante, ma sostenendo che i migranti possono vivere dove vogliono perché sono i rappresentanti della spoliazione che hanno subito.

DEBORD SI CHIEDE se i popoli che verranno, frutto del miscuglio etnico, domineranno «attraverso una pratica emancipata, la tecnica attuale, che è globalmente quella del simulacro e della spoliazione? O al contrario ne saranno dominati in modo ancora più gerarchico e schiavile di oggi?». E conclude: «Bisogna considerare il peggio e combattere per il meglio. I rimpianti sono vani».