«Perché questo mondo che ci pare una cosa di pietra, vegetazione e sangue non è affatto una cosa ma è semplicemente una storia. (…) E quei fili che ci sono ignoti fanno naturalmente parte anch’essi della storia e la storia non ha dimora né luogo d’essere se non nel racconto, è lì che vive e dimora e quindi non possiamo mai aver finito di raccontare. Non c’è mai fine al raccontare». Le parole di Cormac McCarthy in Oltre il confine collocano il racconto al centro di tutto, così come lo è nell’indagine condotta dal gruppo di studio Antongiulio Pequeno con Il viaggio rivoluzionario dell’eroe (Mimesis, pp. 192, euro 18) una ricognizione delle strutture narrative letterarie, cinematografiche e televisive che si interroga appunto sulla figura dell’eroe, sulle potenzialità sovversive e modificatrici della realtà insite nel suo viaggio a partire da come viene postulato nell’Eroe dai mille volti di Joseph Campbell.

NEL SUO SAGGIO – «La decisione dell’eroe. Apocalisse, zombie e clown» – Maurizio Marrone analizza proprio McCarthy e il passaggio da Non è un paese per vecchi a La strada. L’eroe del romanzo adattato per il cinema dai fratelli Coen, lo sceriffo Ed Tom Bell, rinuncia ad agire su un mondo – quello creato dalla violenza totalizzante del sicario Anton Chigurh – di cui non è in grado di afferrare il senso, abdica alla sua funzione e diventa spettatore, e narratore, di un’apocalisse che troverà il proprio compimento letterale nel romanzo successivo: La strada, in cui a un padre e un figlio in un mondo annichilito non resta che combattere per la sopravvivenza, e raccontare, solo a se stessi, di essere i portatori di un fuoco, simbolo della fragile umanità superstite.

Una rinuncia consapevole quella dello sceriffo, ma in fondo non dissimile da quella degli «eroi» presi in esame da Mazzino Montinari nel suo testo – «L’eroe nelle tenebre» -, incapaci di agire sul mondo perché intrappolati in una prospettiva limitata e individuale, a cui sfugge il senso della comunità come nel caso di John O’Neill, l’ex agente dell’Fbi diventato responsabile della sicurezza del World Trade Center, morto l’11 settembre nel tentativo di aiutare le persone nella Torre Sud.

DA DUE CONVERSAZIONI avute da O’Neill poco prima di morire (raccontate da Lawrence Wright in Le altissime torri) emerge che, nonostante l’assunzione su di sé di un ruolo eroico, «in nessuno dei due attimi, O’Neill pensò che quel mondo dovesse cambiare una volta per sempre, come solo un eroe sa immaginare dopo un punto di svolta, un midpoint. Lui voleva solo proteggere ciò che già esisteva». Una rottura nel rapporto con gli altri che previene ogni possibilità di intravedere un futuro diverso e ogni azione modificatrice, riducendo il viaggio a tragedia singolare.

Il pericolo insito nella riuscita dell’impresa dell’eroe è però la conservazione dello stato di cose o peggio la sua restaurazione, come accade nel viaggio mitico preso in esame da Fabio Ciabatti in «L’eroe smascherato eppure rivendicato»: «Il passaggio critico che viene rappresentato nel viaggio conferma l’ordine dato perché riassorbito nella ripetizione di una forma sempre uguale a se stessa».

NELLA CAPACITÀ «creativa» del suo gesto, nei miti «intesi come patrimonio comune dell’umanità» (Gabriele Guerra, «L’eroe e i suoi mondi») si annida però anche la speranza, lo scarto rispetto all’esistente – e infatti Guerra parla del lavoro di Campbell, uscito nel 1949, come di un «tentativo di strappare il serbatoio di storie archetipiche al ferale abbraccio con i totalitarismi».
Il viaggio rivoluzionario dell’eroe prende in esame proprio la possibilità che la narrazione assuma su di sé le forme rivoluzionarie della coscienza di classe, della ribellione, del disvelamento nella finzione della «reale» natura del Capitale, come fa Luca Cangianti («Cambiare il mondo con un bacio») nella sua bella lettura di It di Stephen King attraverso Il Capitale di Marx – che trova nelle fogne di Derry e nel ritorno periodico del clown a minacciare la cittadina statunitense il volto mostruoso dello sfruttamento capitalistico nascosto nel feticismo delle merci.

Che sia attraverso l’irruzione del carnevalesco nella struttura del viaggio, o nell’assunzione di una prospettiva femminile – che Campbell intendeva immutabile e che invece Maureen Murdock nel «Viaggio dell’eroina» amplia oltre quello dell’eroe, che ne è meramente una tappa – si dà la possibilità che l’eroe, attraverso il racconto, si faccia creatore di nuovi mondi possibili. Una possibilità che passa proprio dal viaggio che non ha punto di approdo, come quello dell’eroina, dalla scelta di non tornare mai a casa, di rendere il racconto infinito anche se non è rimasto intorno a noi che il mondo apocalittico della Strada di McCarthy, che nel finale del suo romanzo ci rivela la possibilità che il fuoco «custodito» da padre e figlio passi di mano – il fuoco dell’umanità e quello della rivolta.

Stasera alle 19.00 la presentazione su Zoom.