Il capolavoro, per il bimbaccio che prende la rincorsa per Palazzo Chigi saltando a pié pari il voto, che ammette di tentare un doppio carpiato con avvitamento, e di «essere cresciuto» – e infatti per la prima volta indossa la giacca sopra la camicia bianca, dress code della rottamazione – è quando dice «questa discussione nasce da una richiesta della minoranza».

È un capolavoro di perfidia scaricare su Cuperlo e compagni la responsabilità politica, forse persino morale, della scena che va in onda nella direzione Pd, l’assassinio sull’Orient Express o «una una via di mezzo tra la Prima repubblica e Shining», come la descrive Pippo Civati, chiedendo un voto per immortalare i colpevoli. Civati e i suoi votano no, due gli astenuti, valanga di fogli di via per Letta. «Un episodio che potrebbe avere dei precedenti forse solo in Romania», ha previsto Massimo D’Alema all’ora di pranzo quando, a sorpresa, ha partecipato alla riunione in cui la minoranza decide di partecipare alla congiura?, defenestrazione? eliminazione politica?, del premier. Che in molti avevano persino agitato come futuro candidato anti-Renzi in primarie immaginarie che non si svolgeranno mai.

Gianni Cuperlo cerca di scansare la responsabilità. «Arriviamo a questa discussione nei tempi che avevamo richiesto, ma non nelle forme che sarebbero servite». In effetti alla direzione di una settimana fa la sinistra ha chiesto il chiarimento del rapporto fra Pd e governo, per costringere Renzi a fare il salto. Ma Renzi ha giubilato Letta da par suo: senza nessuna cortesia all’uscita. Prendendo la palla al balzo per il colpaccio. Che non era il suo piano A, ma è la conseguenza obbligata di una strategia pasticciona che vagheggiava o un voto immediato (impossibile con il ’consultellum’ ma anche a ottobre con l’Italicum) o un anno di logoramento al sostegno-opposizione del governo.

Così la sinistra di osservanza bersaniana si consegna all’incognita Renzi. Forse il leader ora ne chiederà un rappresentante in segreteria, come fa da tempo, di certo manterrà il ’turco’ ministro Orlando all’ambiente. Cuperlo archivia le divisioni del congresso chiedendo di «l’unità su scelte strategiche». Ma nella relazione Renzi non autorizza questa pia speranza.

Cuperlo ammette che risolvere un problema di governo in una sede di partito non ha molti precedenti in una democrazia parlamentare, chiede un passaggio alle camere, prova a evitare il penoso voto in direzione contro il premier sostenuto fino al giorno prima. Ma il vero problema, spiega Matteo Orfini, che invece a Renzi chiede di andare a Palazzo Chigi sin dallo scorso aprile, è che «abbiamo bisogno di una discontinuità vera. Non si tratta di cambiare un premier con un altro: se ha un senso un cambio di governo è nella capacità di affrontare la crisi e politicizzare l’esecutivo». Il dispositivo finale viene aggiustato e anche i giovani turchi votano sì.

Della sinistra si astiene in solitaria Stefano Fassina, l’ex sottosegretario dimesso proprio per un frontale con il futuro premier. «Non abbiamo spiegato questo passaggio a chi sta fuori da queste stanze», dice, e alla fine prende atto che nel dispositivo di cambiamento «radicale» non c’è traccia . Votare sì, ragiona in serata, «è incomprensibile per noi, è consegnare una cambiale in bianco a Renzi. Anche perché fra i renziani c’è chi chiede altri tagli di spesa e rigore», lo hanno fatto Serracchiani, Gentiloni, Burlando, «e non è quello che serve al paese». Sull’Unità di giornata Fassina descrive un Letta «prigioniero dell’insostenibile europeismo liberista» e stila il programma di una svolta antirigorista che si fatica a immaginare nelle corde del futuro premier.

Fuori dal Pd anche Sel resta con la sporta vuota. In molti, in direzione, chiedono l’allargamento della maggioranza. Renzi non lo fa. «È una tipica manovra di Palazzo, con un copione anche molto triste dal punto di vista dei rapporti umani», twitta Vendola. Renzi «ha liquidato senza nessuna analisi di merito l’esperienza del governo Letta. Ha parlato di un cambiamento che non ha alcuna relazione con le ragioni della crisi sociale, di quel che c’è fuori dal Palazzo». «È chiaro chi se ne va, ma non chi arriva», commenta Gennaro Migliore, l’ufficiale di collegamento fra vendoliani e il leader Pd. «L’unica cosa chiara è che il premier che avrà la stessa maggioranza di prima. E questo non è un problema di Sel ma del paese. E di Renzi». Ma il dibattito in Sel è un travaglio, c’è già chi parla di «scissione». Domani l’assemblea che deve pronunciarsi sulla lista europea pro-Tsipras verrà investita dal ciclone Renzi I. Vendola prova a tenere uniti i suoi. Alfano esclude di stare in maggioranza con Sel? «Per una volta sono d’accordo con lui», ripete. Ma sono molti i parlamentari che chiedono «che non si dica un no preventivo a Renzi».