Prima o poi doveva succedere: prima o poi l’accordo «bidone» siglato lo scorso 1 agosto da Cgil, Cisl e Uil delle telecomunicazioni doveva creare una rivolta tra i lavoratori. E in effetti è successo: 200 cocoprò (o lap, cioè a progetto) di Almaviva, la maggiore azienda di call center in Italia, hanno assediato lunedì l’Ispettorato del lavoro di Palermo, rifiutando di firmare le conciliazioni proposte dalla società romana. Che non opera certo per piccole realtà, i committenti sono altisonanti: Sky, Wind, Enel, Vodafone, Mediaset, tanto per fare alcuni nomi, o – nel pubblico – diversi ministeri e istituti come l’Istat. D’altronde Almaviva dà lavoro a 27 mila persone, e ha sedi in Brasile, Cina, Tunisia.

Andiamo ai fatti. L’1 agosto Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom firmano un accordo con la Asstel – associazione dei call center in outsourcing – che tra le tante «delizie» prevede quella di imporre una conciliazione su tutto il pregresso agli operatori che vogliano continuare, magari dopo anni di precariato, a lavorare per la stessa azienda. Si deve cioè rinunciare al diritto di far causa nel caso in cui ad esempio si sia prestato un falso lavoro autonomo, quando invece era di fatto dipendente. Siglare un colpo di spugna tombale a fronte di cosa? Mica di un’assunzione a tempo indeterminato: no, per avere altri contrattini «atipici», di uno o tre mesi, sempre nella modalità a progetto.

Quindi insomma, rinuncio a ogni mio diritto, dopo 3-4 o 10 anni di precariato selvaggio, per essere messo magari – e chi lo sa – alla porta alla scadenza del nuovo contratto che andrò a firmare in grazia di questo «regalo» all’azienda. Un vero «orrore» sindacale che il manifesto non ha mancato di denunciare, aprendo una polemica con la Slc Cgil, sindacato di cui abbiamo ospitato le opinioni. Eccoci dunque arrivati alla vicenda di Palermo.

Almaviva, gruppo della famiglia Tripi (in passato proprietaria della notissima Atesia), nelle scorse settimane è passata (legittimamente, dal suo punto di vista, dato che aveva l’accordo dell’1 agosto nel sacco) a chiedere a tutti i propri collaboratori a progetto questa conciliazione tombale, spiegando che sarebbe stato l’unico modo per accedere alle liste di prelazione per i futuri contrattini.

Che poi, quanto guadagnano questi operatori? A Palermo alcuni di loro, che vogliono ovviamente restare anonimi (i cocoprò/lap sono ricattabilissimi), ci dicono che si lavora a «contatto utile»: l’outbound (l’addetto cioè che chiama i clienti a casa, per conto dei committenti), per ogni risposta ricevuta (anche solo un «vaffa» di un cliente adirato, che poi riattacca) guadagna 20 centesimi. Se però la telefonata va a buon fine, ovvero se il cliente accetta di siglare il contratto proposto, allora il compenso sale decisamente, fino a 8,30 euro. Con questo meccanismo, lavorando anche oltre 10 ore al giorno, nei giorni più disparati, si guadagnano in media 600 euro al mese, che possono arrivare a 1000-1200 per i venditori più dotati. Ovvio, senza tutte le tutele e i contributi dei dipendenti.

A Palermo per Almaviva lavorano circa 1000 cocoprò (a fronte di circa 400 dipendenti), a Catania i lap sono 800 (e i dipendenti 1200): a causa della rivolta, partita dai palermitani grazie a Facebook, finita davanti all’Ispettorato e dilagata fino a Catania, l’azienda ha deciso per il momento di rinviare la consegna delle conciliazioni «a data da destinarsi».

«Finora nessuno ha firmato – conferma Giuseppe Oliva, segretario Nidil Cgil di Catania – Almaviva ha anche allentato la presa perché ha bisogno di coprire le postazioni, e se l’obbligo della conciliazione fosse subito operativo, visto il gran numero di precari che non ha dato disponibilità a firmare, non avrebbe addetti a sufficienza». Le proteste e lo stesso mercato, insomma, stanno sterilizzando l’accordo-scandalo. Adesso il sindacato, che rappresenta soprattutto i dipendenti ma si è trovato con questo imbarazzante boomerang dell’intesa sugli atipici, potrebbe correre ai ripari: si preparano assemblee infuocate, dove l’intesa del primo agosto verrà messa a dura prova, sia in Almaviva che sul piano nazionale.