«Avete mai avuto l’impressione di essere stati truffati?», con questa domanda rivolta al pubblico il 14 gennaio del 1978 Johnny Rotten chiuse a San Francisco il concerto dei Sex Pistols e una tormentata tournée Usa, suggellando lo scioglimento del gruppo (almeno fino alla reunion di quasi vent’anni dopo).
Il punk sembrava aver consumato la sua ultima fiammata in uno dei luoghi simbolo del rock dove alla fine degli anni ’60 la musica aveva trovato la sua anima più alternativa e trasgressiva. In realtà il de profundis Usa dei Sex Pistols non fu una conclusione ma rappresentò solo l’inizio di una nuova stagione. Proprio dove la band di Anarchy in the U.K. aveva deciso di gettare la spugna, in quella parte di California tra San Francisco e Los Angeles, si stava assistendo a un movimento musicale giovanile sotterraneo che si diramerà in direzioni molto diverse e che segnerà il rock per i successivi trent’anni.
I semi di quella scena underground sono rappresentati da una serie di album, alcuni dei quali diventati nel tempo dei classici, altri meno celebrati, tutti frammenti di una ricchissima comunità artistica da cui tutto il mondo, nel bene o nel male, ha attinto. Eccoli.
Germs (GI) (1979)
La brevissima storia dei losangelini Germs, conclusasi con la morte per overdose del cantante Darby Crash nel 1980, si condensa nelle tracce di questo disco (prodotto da Joan Jett) ritenuto la prima scintilla del punk hardcore Usa.
La lezione è ancora quella britannica, ma con una rinnovata energia. Il chitarrista della band Pat Smear ha poi militato in Nirvana e Foo Fighters.
X Los Angeles (1980)
All’epoca della sua uscita un critico accolse l’album descrivendo gli X come «gli unici punk che hanno una mezza speranza di avere un successo commerciale negli Stati Uniti», un altro parlò della miglior espressione di una scena «disperatamente stupida».
La formazione guidata dalla coppia (anche nella vita) John Doe-Exene Cervenka non ebbe mai grande successo commerciale, ma Los Angeles era forse il primo vero disco in cui il punk diventava genuinamente statunitense assimilando elementi country, ballate e rockabilly. Le dissonanze lasciavano il posto alle composizioni e la produzione di Ray Manzanek dei Doors garantiva accessibilità e una qualità che altri artisti del settore non potevano permettersi.
A tutt’oggi, anche per i testi che documentano il degrado sociale della metropoli, rappresenta uno dei migliori momenti del punk «d’autore» di ogni tempo. Un ideale contraltare a stelle e strisce al britannico London Calling dei Clash uscito pochi mesi prima.
Dead Kennedys Fresh Fruit for Rotting Vegetables (1980)
L’esordio del quartetto di San Francisco ai tempi venne visto come un Never Mind the Bollocks made in California, in parte perché il cantante Jello Biafra ricordava l’isterica espressività di Johnny Rotten. Ma c’era meno cupio dissolvi e più qualità musicale, coscienza e feroce satira politica.
Black Flag Damaged (1981)
Reclutato Henry Rollins come frontman, la band di Los Angeles fondata dal chitarrista Gregg Ginn produsse il disco che diede di fatto un manifesto furioso e primordiale all’hardcore punk, una musica selvaggia e senza compromessi nata all’insegna dello spirito «do it yourself».
Damaged divenne il battesimo del fuoco di un’intera scena e i Black Flag, accolti regolarmente da risse ai loro concerti, una delle band più pericolose d’America.
Bad Religion How Could Hell Be Any Worse? (1982)
Un debutto acerbo, opera di un gruppo di adolescenti di Los Angeles, ma capace di gettare i semi di un West Coast punk che univa alla rabbia la melodia e cercava una nuova consapevolezza nella frustrazione giovanile.
L’album fu anche la prima pubblicazione a portare il marchio Epitaph, ideato dal chitarrista della band Brett Gurewitz, che poco dopo divenne l’etichetta di riferimento del punk statunitense.
Flipper Album – Generic (1981)
Un debutto che non poteva avere origine se non nella capitale della psichedelica, un punk anarchico e lisergico in cui le canzoni cercavano ritmiche indefinibili e si trasformavano in jam sregolate. Il caos creativo dei Flipper è anche testimoniato dal fatto che fossero forse l’unico gruppo a sfoggiare due bassisti. Il nome della band pare che derivasse da quello di un delfino trovato morto sulla spiaggia della baia di San Francisco dal cantante Will Shatter dopo un trip con l’acido. E questo dice tutto.
Un disco spesso citato come uno dei punti di riferimento di band della scena grunge come i Melvins. Kurt Cobain inserì Generic tra i suoi album preferiti di sempre.
Descendents Milo Goes to College (1982)
Sotto il sole della California il punk era destinato inevitabilmente a diventare anche divertimento.
Nella musica dei Descendents la furia si stempera in composizioni essenziali, ricche di ironia e ammiccamenti al pop e si crea il modello di uno stile che ha avuto nei Green Day gli esponenti più popolari.
Suicidal Tendencies Suicidal Tendencies (1983)
Punto di incontro tra punk, hardcore, metal e hip-hop, il minaccioso esordio dei Suicidal Tendencies segna l’inizio della celebrazione della subcultura di strada in una Los Angeles vista dal basso, tra gang, violenza e alienazione giovanile.
Metallica Kill’em All (1983) Nessuno allora avrebbe neppure potuto immaginare che pochi anni dopo quella band avrebbe venduto dischi a milioni, ma l’esordio dei Metallica, che avevano fatto di San Francisco la propria casa, fu, pur tra molti peccati di gioventù sulla qualità del suono e sulla registrazione, una delle prime testimonianze di un nuovo genere musicale dove l’ heavy si liberava dalla teatralità un po’ barocca della scena britannica e veniva suonato con la ferocia, la libertà e l’immediatezza del punk.
Minutemen Double Nickels on the Dime (1984)
Il trio originario di San Pedro, Los Angeles, infondeva al punk hardcore un eclettismo jazz e funky che rendeva la loro musica tanto eccitante quanto imprevedibile. La chitarra era un accessorio e il basso di Mike Watt spadroneggiava. Questo album composto da 43 canzoni che si concentrano in 75 intensi minuti, rappresenta a tutt’oggi un unicum nella storia del rock alternativo e apre la scena underground californiana a una serie di inattese contaminazioni. L’avventura dei Minutemen durò però poco come le loro composizioni. Il cantante D. Boon morirà nel 1985 in un incidente stradale.
Red Hot Chili Peppers The Red Hot Chili Peppers (1984)
C’è voluto quasi un altro decennio di gavetta e sventure assortite legate all’abuso di droghe prima che la formazione di Flea (già membro dei Fear) e Anthony Kiedis sfondasse e diventasse uno dei grandi nomi del rock da stadio. Nella Los Angeles dei primi anni ’80 erano una gang sregolata che doveva ancora chiarirsi le idee, ma raccoglieva adepti tra i fan dello skateboard con una musica che guardava tanto al funk quanto all’hardcore corteggiando anche la scena rap.
Slayer Reign in Blood (1986)
Lo speed-thrash trovava nel terzo disco del quartetto originario di Huntington Beach l’espressione di massima aggressività. La produzione di Rick Rubin, ai tempi alle prime armi, diede alle canzoni una ferocia e una compiutezza che a distanza di più di trent’anni è rimasta spaventosamente intatta. Le chitarre della band finiranno anche (sempre grazie a Rubin) nei dischi hip hop di Public Enemy e Beastie Boys gettando le basi del crossover che esploderà qualche anno più tardi.