Due storie californiane, strappate alla cronaca, atterrano dall’America nella sezione Un Certain Regard. I picchi dorati delle colline hollywoodiane e i quartieri poveri di Oakland, secondo Sofia Coppola (per la terza volta a Cannes) e l’esordiente Ryan Coogler (vincitore di Sundance 2013). Due mondi lontanissimi tra di loro anche se gli eventi reali si sono consumati quasi contemporaneamente, a cavallo tra 2008 e 2009. The Suspects Wore Louboutins, di Nancy Joe Sales è l’articolo di Vanity Fair da cui è tratto il nuovo film della regista di Somewhere, The Bling Ring (bling sono i gioielloni patacca, ring è gergo per banda).

Immerso, anche quando è buio, nella luce polverosa, vagamente color cipria, cara a Harris Savides (il direttore della fotografia scomparso, cui è dedicato il film, si è ammalato durante le riprese ed è stato sostituito da Christopher Blauvelt), e girato da Coppola con macchina più nervosa e narrazione meno ellittica del solito, The Bling Ring si vive un po’ come un sogno.

Del sogno ha qualcosa anche l’avventura del gruppo di teen ager protagonisti (Emma Watson, elettrica, e gli sconosciuti Taissa Farmiga, Israel Broussard, Claire Julien e Katie Chang), ragazzini difficili della San Fernando Valley il cui passatempo ideale è introdursi nelle ville hollywoodiane delle loro trash celebrities preferite – Paris Hilton, Lindsay Lohan, la reality star Rachel Bilson..) e svaligiarle. Non per arricchirsi quanto, piuttosto, per avvolgersi nei loro costosissimi accessori (scarpe, gioielli, profumi, biancheria…), di cui recitano i nomi come un mantra (Prada, Miu Miu, Balmain, Chanel, «Loubby» e «la Birkin» bianca di Lindsay), strusciarsi contro l’inconsistenza luccicante della loro fama, barcollare in cima ai loro tacchi (anche se le scarpe sono di misura sbagliata: sembra che Paris abbia dei piedi enormi), condividerne «l’aura». Non importa se significa farsi arrestare e condannare a quattro anni di prigione. Che oggi poi è il primo passo verso un’aura propria: nella realtà, l’intera famiglia di una delle ragazze della storia, Nicki Neiers è oggi nel reality Pretty Wild.

Folletti incappucciati nella notte deserta, i ragazzi (Nicki, Sam, Chloe, Rebecca e Mark) entrano ed escono dalle case come per magia (gli indirizzi delle star li trovi online, i tabloid ti dicono quando sono fuori città e i ricchi lasciano regolarmente finestre aperte a chiavi sotto lo stuoino). Ogni visita è un rituale diverso, anche filmicamente. Tornano più volte nello stesso posto, come da Paris Hilton che, in vero spirito The Bling Ring (sempre in gioco tra reality e realtà), tra l’altro ha offerto la sua casa per le riprese del film. Avventura di materialismo sfrenato eppure, a suo modo, altrettanto immaterico (catturare quella contraddizione è il bello del film di Coppola, che si snoda come un documentario sulle superfici), The Bling Ring non è un romanzo di perdizione alla Bret Easton Ellis o uno di formazione come lo avrebbe fatto Harmony Korine.

Coppola (che in pochi stacchi di Somewhere aveva saputo immortalare per sempre un paese risucchiato dalla tv) sospende il giudizio sul mondo delle sue eroine, risucchiato da Twitter, Facebook e Tmz. Se il privilegio è il mondo da cui viene Sofia, anche Ryan Coogler, con Fruitvale Station, ha scelto di esordire con una storia di casa sua, strappata alle prime pagine dei giornali locali. È quella dell’omicidio di Oscar Grant, ventidue anni, la notte di capodanno tra il 2008 e il 2009.

Il titolo del film viene dalla fermata del treno che collega la proletaria città di Oakland a San Francisco (Bart). E sulla passarella di quella fermata che Oscar, trascinato a forza fuori dal treno che lo stava portando a casa, è stato ucciso da un poliziotto. Le prime immagini che si vedono sono quelle catturate dei telefonini degli altri passeggeri sul treno quella notte –un gruppo di giovani afroamericani appiattiti contro un muro e brutalizzati a manganellate da due agenti della ferroviaria. Le ore che hanno preceduto quelle immagini sono la storia del film, e un ritratto di Oscar (l’attore Michael B. Jordan, da The Wire) – dolce, affettuoso figlio, fratello, nipote e padre di famiglia, ma anche ex pregiudicato pronto a ruggire come un leone e dimenticarsi quella dolcezza al minimo segno di minaccia.

Quando lo incontriamo, diretto a comprare i granchi da friggere per il compleanno di sua madre (Octavia Spencer, che produce il film insieme a Forest Whitaker), Oscar sta cercando di «rigare dritto». Contrariamente alla caricature del maschio afroamericano, solo, cresciuto senza famiglia, e che non ha creata una sua, Oscar è circondato da donne che gli vogliono bene e che tifano per lui. Lui le adora e mente per proteggerle – i soldi dell’affitto non li ha, nemmeno quelli per aiutare sua sorella che ha appena perso il lavoro; e il lavoro non ce l’ha più nemmeno lui perché arrivava sempre in ritardo. Ma, pensa, troverà una soluzione. E rassicura tutti, come se niente fosse. Si sa fin dall’inizio che questo melodramma «povero» ed elegante non prevede un happy ending. Ma Coogler evita con sicurezza i passaggi narrativi più scontati di questa «passione».