La siccità qui è destinata ad aggravarsi ulteriormente con l’inizio di una estate che si preannuncia prevedibilmente torrida e secca. E l’emergenza si rivela sempre più paradigmatica di quello scontro fra ambiente e capitale cui il Papa ha dedicato la sua enciclica. La scarsità di acqua e le implicazioni per la produzione alimentare si stanno infatti rivelando inestricabilmente connesse alla disuguaglianza che caratterizza sempre di più le società occidentali.

Le siccità in California sono cicliche, lo conferma ormai una abbondante documentazione scientifica che in base a reperti geologici descrive una regione soggetta a lunghe oscillazioni climatiche.

I deserti del Sudovest ad esempio sono pieni di vestigia di antichi laghi che in precedenti ere geologiche abbondavano nella regione oggi arida. Esiste poi la casistica antropologica, ugualmente inconfutabile, delle culture misteriosamente scomparse, gli antichi Anasazi ad esempio, le cui città rupestri  sono state improvvisamente abbandonate, probabilmente proprio a causa dell’esaurimento delle risorse naturali, soprattutto l’acqua necessaria al sostentamento agricolo.

Il moderno sviluppo californiano predicato su una gigantesca opera di ingegneria idrica e dell’irrigazione intensive ha rimosso i limiti ambientali naturali, ma appunto di “rimozione” in gran parte si è trattato.

Le grandi opere di bonifica attuate fra le presidenze di Theodore e Franklin Roosevelt hanno permesso cento anni di crescita economica ma al contempo sdoganato i concetti di privatizzazione e commissariamento dell’acqua, fornita  ai cittadini ma soprattutto alle imprese agricole e industriali grazie alla sovvenzione pubblica.

La attuale convergenza di crescita demografica e mutamento climatico con i cicli naturali di siccità (le stime dei climatologi prevedono che questa potrebbe essere fra le più lunghe dal medioevo) suggeriscono che – come avviene in molte altre regioni del pianeta – si stiano raggiungendo i limiti “tecnologici” dello sviluppo.

 

La prima risposta politica è stata il razionamento dei consumi privati; il governo ha chiesto innanzitutto la riduzione del 25% dell’acqua erogata nelle città.

La scorsa settimana poi sono state imposte restrizioni anche all’agricoltura, un inversione di tendenza “epocale” rispetto alla politica dell’abbondanza sovvenzionata per gli agricoltori. La contrapposizione di campagne e città è però una falsazione del problema di fondo che rivela semplicemente la corsa a difendere istintivamente  propri diritti.

Numerosi ricorsi ad esempio sono stati presentati contro le penali applicate per indurre al risparmio.

In uno di questi casi, quello di San Juan Capistrano, un giudice ha decretato che la compagnia dell’acqua non può aumentare il costo “arbitrariamente”  come disincentivo ma solo “se giustificato dai costi di produzione o fluttuazioni di mercato”. In altre parole, per legge l’acqua va trattata esattamente come un qualunque prodotto commerciale, non una risorsa essenziale alla vita.

Una sentenza opposta allo spirito dell’enciclica di Francesco tutta tesa invece ad evidenziare come la questione ambientale sia inseparabile da quella della giustizia sociale.

Molti Californiani, soprattutto quelli più ricchi, non dimostrano in effetti di essere seguaci del papa-pensiero.

Intanto i primi censimenti hanno constatato una  marcata “forbice” nei consumi: Beverly Hills ad esempio registra consumi di quattro volte superiori a quelli dei quartieri circostanti.

Ora, come riferisce il Washington Post, i facoltosi residenti di un altro prestigioso quartiere, Santa Fe Springs, sono in aperta rivolta. “Paghiamo fior di tasse sulle ville. Non ci possono obbligare a vivere circondati da sterpaglia secca” ha dichiarato al Post Steve Yuhas, uno dei residenti. Il ridente quartiere a nord di San Diego consuma acqua ad un tasso cinque volte la media dello stato e i residenti rivendicano il diritto di innaffiare maneggi e campi da golf: dopotutto pagano. Invece il primo luglio anche loro dovranno sottostare a nuove quote imposte dalla Santa Fe Irrigation District. Tariffe triple, se non basta, razionamento e in extremis la soluzione più drastica:interruzione del servizio. “Cosa dovremmo fare” chiede indignata Gay Butler, “avere ettari di terra secca?”.

“È una crociata contro i suburbs” tuona Brett Barbre nella vicina Yorba Linda usando il termine per le periferie di lusso (nella sua viveva anche Richard Nixon).

Nella rivolta dei miliardari si giunge a dire che le ville con parco evitano il sovraffollamento e quindi limitano i consumi (logica spesso seguita da un inevitabile ‘gli immigrati si lavano troppo spesso’).

“Dovrete passare sul mio cadavere per strapparmi la canna dell’acqua”, aggiunge Barbre, e il senso è sempre lo stesso: la quantità d’acqua da consumare – se uno se la può permettere – è una scelta personale, come quella di comprare un Suv piuttosto che una Prius.

[do action=”citazione”]L’acqua è come il denaro – mica possiamo tutti averne in quantità uguali.[/do]

Obama ha acclamato “l’autorità morale” dell’enciclica Laudato Sì menzionando specificamente il nesso fra ambiente, povertà e disuguaglianza sottolineato dal Papa.

L’emergenza californiana, e le escandescenze che sta provocando fra i ceti più privilegiati, è in definitiva l’esatta dimostrazione dell’incompatibilità di un liberismo capitalista avanzato con la tutela dell’ambiente e della vita. E di come sarà necessario cambiare radicalmente di modello se vorremo passare ad un possibile mondo migliore. O almeno continuare ad averne uno.