Restare nell’euro, sull’immigrazione proseguire il «piano Minniti», potenziare il reddito di inclusione, promuovere «l’interesse nazionale nella Ue e nel mondo», un «piano shock contra l’alfabetismo funzionale», «un impegno diretto dello stato in una dimensione finora mai sperimentata» ma non «invasivo», e cioè «che garantisca ai cittadini gli strumenti per comprendere i processi di cambiamento» ma che «non butti via i soldi pubblici per nazionalizzare Ilva o Alitalia». Ci sono alti proclami liberaldemocratici ma anche provvedimenti più di dettaglio nel «manifesto» dell’ex ministro Carlo Calenda, pubblicato ieri in un ampia paginata del Foglio, e lanciato il giorno prima niente meno che dal Tg1 della sera, come un evento importante dei tempi della prima repubblica.

CALENDA LANCIA una proposta politica che aveva già testato fra twitter e media vari all’indomani della nascita del governo gialloverde, quella di «un’alleanza repubblicana che vada oltre gli attuali partiti», «uno strumento di mobilitazione» da offrire «ai cittadini che non sia una somma di partiti malandati e che abbia un programma che non si esaurisca, nel pur fondamentale obiettivo di salvare la Repubblica dal “sovranismo anarcoide” di Lega e 5 stelle».

NON È UN NUOVO PARTITO né un’autocandidatura al congresso dem, giura lui. Ma è un’operazione a suo modo coraggiosa: perché parte con la certezza di replicare il tonfo dei precedenti annunci. Così va puntualmente, soprattutto nel Pd, a cui principalmente è rivolto.

LE REAZIONI POSITIVE sono poche, e non di prima fila. L’ex sindaco Gori, l’ex ministra Pinotti. Ma quelle che contano, o che conterebbero, non arrivano: e in questo caso il silenzio non è una dichiarazione di consenso.

Il reggente Maurizio Martina invece lo boccia con cortesia: «Non andare oltre, ma in profondità», twitta. Calenda, che è un noto utilizzatore di social, gli risponde a stretto giro provando a promuovere un dialogo: «Per questo ho provato a scrivere un manifesto di idee e contenuti. Per evitare di continuare a parlare di oltre etc. Che fa molto seduta spiritica. Molto interessato al tuo giudizio». Ma la conversazione finisce qua.

Calenda è anche attento a restare equidistante nelle vicende del Pd: Gentiloni sarebbe il leader del fronte (ha «una reputazione, un’autorevolezza e uno stile molto diverso da quello di Salvini e Di Maio») e Zingaretti potrebbe fare il leader Pd («Se si candiderà a fare il segretario del Pd, sarà un ottimo segretario»).

MA NESSUNO DEI DUE risponde. E dai maggiorenti del Pd cala il gelo. Tacciono i renziani, e a rincorrerli in Transatlantico ci si sente rispondere: «Il manifesto di Calenda? Un utile contributo alla discussione»: ovvero un epitaffio espresso in felpato politichese. Renzi non commenta. L’ex segretario ha capito che Calenda accarezza l’idea di raccogliere l’eredità del renzismo, ma ai suoi fa capire di non avere fiducia nelle capacità politiche dell’ex ministro, bravo invece con i social e con i giornali.

DAL LATO SINISTRO VA MEGLIO. Enrico Rossi (Leu) è interlocutorio: «Calenda è una persona diversa da me, ma con la quale vorrei confrontarmi per creare un grande schieramento per mandare a casa questo governo di destra». Per l’europarlamentare Goffredo Bettini la proposta «è un contributo di alto livello che merita un approfondimento».

MATTEO ORFINI INVECE affida la sua ironia a Instagram. Posta la copertina di un manifesto di Marx ed Engels nella sferzante versione grafic novel di Martin Rowson. E non è un applauso.

IN ATTESA DEL RESPONSO dei militanti, magari cominciando da quelli del circolo in cui è iscritto Calenda a via dei Cappellari, è il congresso in queste ore a tenere banco al Nazareno. L’accordo sarebbe fatto. L’assemblea nazionale del 7 luglio dovrebbe eleggere segretario Martina, con un mandato «costituente» per arrivare a un congresso nel 2019. Prima o dopo le europee? «Non è necessario dirlo esplicitamente», spiegano al Nazareno, «Si può dire nel 2019, se si riesce prima delle europee». I renziani sono convinti che Zingaretti accetterà. Franceschini sarebbe già d’accordo.