Lo speciale sul sequestro Moro di Ezio Mauro andato in onda il 16 marzo su Raitre, «Il condannato», è una delle cose migliori che i media italiani abbiano mai dedicato a quella tragedia. Non ha concesso nulla alla fantasia sbrigliata che di solito impazza ogni volta che si parla di quei 55 giorni. L’ex direttore di Repubblica si è attenuto ai fatti. Invece di sovrapporre la sua voce a quella degli intervistati e alla cronaca fedele di quel che accadde, ha lasciato che fossero la vicenda e i protagonisti a parlare da soli.

Così, credo per la prima volta, l’ex ministro degli Interni Giuseppe Pisanu, nel ’78 strettissimo collaboratore del segretario della Dc Benigno Zaccagnini, ha ammesso che la decisione democristiana di non concedere nulla ai rapitori fu dettata dalla necessità di evitare un crisi di governo che in quel momento sarebbe stata pericolosissima (e che il Pci avrebbe senza dubbio provocato a fronte di una trattativa). L’impossibilità etica di «trattare con i terroristi», sbandierata ovunque allora come ora, non c’azzeccava.

Dal racconto del pm Luciano Infelisi sono emersi con chiarezza i limiti, ai confini della realtà, delle forze di polizia in quelle settimane. Scoperta casualmente dai pompieri la base di via Gradoli, dove abitavano Mario Moretti e Barbara Balzerani, la polizia, invece di avvertire il magistrato, tacere e appostarsi, arrivò a sirene spiegate, con le troupes dei Tg più o meno al seguito. Nessuno pedinò Lanfranco Pace, che incontrava Valerio Morucci per conto del Psi, e nessuno avvertì Infelisi, che pertanto non potè disporre neppure lui il pedinamento.

I calcoli politici che determinarono la “fermezza” e le lacune clamorose nell’operato delle forze di polizia sono i soli veri «misteri del caso Moro». A chiarirli in fondo non ci vuole molto. Basta un giornalista capace.