Venerdì pomeriggio. La sede di Emergency a Porta Genova, tra le altre cose è diventata anche il centro di coordinamento per la dozzina di brigate di volontari che ogni giorno consegnano cibo e beni di prima necessità in giro per la città, una Milano devastata dalla pandemia e dalle scellerate decisioni della Regione Lombardia e di Confindustria. Ma oggi oltre alla solidarietà, che qui è di casa da sempre, c’è anche il teatro. Stanno infatti per cominciare le prove della Brigata Brighella, pronta a mettere in scena le Fiabe italiane di Italo Calvino, sotto l’occhio attento di quello che si definisce il loro allenatore: Paolo Rossi. Appena qualcuno dei presenti trova un telefonino con l’applicazione giusta, riusciamo a collegarci in videochiamata, con questo curioso allenatore.
«Più che altro li alleno a non prendere le botte, perché qui non si reciterà più in un teatro, dove ora si usa applaudire per cortesia anche se lo spettacolo non piace, ma in un cortile: e in cortile se lo spettacolo non piace ti cacciano con le brutte». Tra poco la Brigata Brighella andrà in una casa di ringhiera qui vicino a distribuire cibo, insieme a un’altra brigata, e allo stesso tempo metterà in scena uno spettacolo itinerante. «Cominciamo con Calvino. Oggi sarà uno spettacolo da ringhiera, domani da cortile, dopodomani da piazza, o da strada. In questo trasformeremo la città, ce la riprenderemo, portando quello che una volta era l’unico luogo deputato al teatro della città, il Teatro della Scala, in giro per tutti i quartieri. Sovvertiamo, cambiamo il paradigma, per evitare di tornare a quella normalità di prima che era il problema».

Nei tuoi spettacoli c’è sempre Milano, come personaggio reale o solo evocato. Partiamo da qui. Dopo due mesi chiuso in casa, che città hai trovato?

Guarda, a parte che io uscivo tutti i giorni anche prima. Una volta andavo a prendere le sigarette, due volte a prendere i giornali, perché non è che potevo prendere tutti i giornali in una volta sola, e almeno quattro volte al giorno a fare la spesa. Detto questo, Milano è veramente stata ed è il fronte dell’epidemia, così la chiamiamo qui: il fronte. Qui si sente davvero quanta gente è morta, qui siamo in anticipo sia con le notizie terribili sui numeri di questi mesi sia per quello che sarà il prossimo virus di cui ci renderemo conto: quello economico. A leggere i dati aumentano le persone che sono in difficoltà, a girare per la città ti accorgi come anche persone che prima si vergognavano a chiedere aiuto ora lo domandano tranquillamente.
(E qui in sottofondo, durante la videochiamata si sente un’ambulanza «Eccola, oramai ci siamo abituati a questo suono. Ecco il fronte».)

A noi, durante la pandemia, ci hanno raccontato che sarebbe andato tutto bene, che saremmo diventati più buoni. Invece non sta andando bene affatto. Non solo stiamo tornando a quella normalità di prima che tu hai detto che era il problema, ma forse è pure peggio.

La cosa che si nota di più adesso è proprio la cattiveria. E ti assicuro che le statistiche a pelle funzionano meglio di quelle di quei due lì della Regione. Gente che si è trasformata in caporale, per dirla alla Totò, negozianti che aumentano i prezzi, persone che urlano e inveiscono. E poi ci sono figure antichissime che sono tornate alla ribalta, come la spia. La vecchietta del mio condominio che ogni giorno prendeva nota sul taccuino chi usciva, da che pianerottolo, quante volte, se portava il cane, quante volte, se aveva la mascherina, se il cane aveva la mascherina. E ogni volta chiamava i carabinieri, che a un certo punto si sono anche stufati di uscire per lei.
Oppure i nuovi ciclisti, io amo i ciclisti in generale, ma questi nuovi ciclisti non amano me, mi hanno già investito due volte, mentre camminavo sul marciapiede, e una volta mi hanno anche sgridato. O il tizio che mentre salutavo mia figlia che non vedevo da due mesi, e a debita distanza mi sono abbassato la mascherina per farle vedere l’espressione di suo papà, mi ha gridato ’ti sei rotto il torcicollo’, che tra l’altro è una frase che non ha senso. E a quel punto mi sono arrabbiato io e mi è uscito uno sbrocco di violenza e gli ho detto che se non se ne andava gli facevo una magia, lo baciavo con la lingua in bocca tenendo la mascherina. E mi sono sorpreso della mia di violenza, io non reagisco mai così.

E il teatro invece, anche lui tornerà alla normalità tossica di prima, peggio di prima, o riusciremo a inventarci qualcosa di nuovo?

Anche qui, ci sono i soliti che riuscivano prima e riusciranno anche ora a a prendere i soldi, gli amici degli amici, che magari si riuniscono anche in associazioni dai nomi ossimorici. Perché diciamola tutta, molti impresari, produttori, come in un gioco delle tre carte riusciranno a guadagnare anche con il teatro fermo, con il teatro bloccato, prendendosi le sovvenzioni e puntando sui monologhi. Poi ci siamo tutti noi, attori e registi che non ci mettiamo in fila a questuare per l’obolo ma che troviamo stimolante che ci abbiano ricacciato da dove venivamo nel Medioevo, insieme ai lavoratori in nero, alle prostitute, ai vagabondi e ai criminali. Un’ottima compagnia. Perché il trucco alla fine deve essere questo: mi dai un limite, io lo uso a mio favore. Devo recitare con la mascherina? Io recito con la maschera.
E così adesso è il momento di mettere in scena un teatro diverso, un teatro politico, un teatro sociale. Anzi, ancora meglio: il «teatro totale», come il calcio totale degli olandesi. Per questo dico che faccio l’allenatore della Brigata Brighella. Mi spiace per chi è legato ad Ibsen, ma il teatro sta cambiando e cambierà. Nel teatro totale l’attore non avrà un ruolo fisso, il palco si occuperà a zona, il regista starà in scena e non più fuori, e faremo fuori il libero, che sarebbe la quarta parete. Via la difesa, basta, tutti all’attacco. E la cosa più importante sarà mettere il talento individuale al servizio del collettivo, quando un compagno è in difficoltà lo devi aiutare, prendere il suo ruolo. E anche il pubblico, che inevitabilmente cambierà, se non se lo può permettere, dentro lo stesso.

Se non ci saranno ostacoli, il 3 giugno sarai in scena al Teatro Stabile di Bolzano con altri compagni per uno spettacolo che riprendendo il titolo di una tua fortunata trasmissione si chiama «Su la testa». Che teatro sarà?

Abbiamo invertito il titolo in realtà. Si chiamerà Pane o libertà, e Su la testa sarà il nome del progetto. Faremo teatro di repertorio, teatro popolare. Aperto a tutti, chi se lo può permettere paga, chi non può permetterselo dentro lo stesso, non c’è alternativa. Poi certo se qualcuno vuole darci una mano ben venga, anche i carbonari cospiravano grazie ai soldi della borghesia, ma è ovvio che deve cambiare anche il rapporto con gli spettatori. A Bolzano per il pubblico abbiamo trovato un escamotage. Invece che dire «prove aperte al pubblico» mettiamo un cartello con scritto «visite guidate alle prove», come a un museo. Così sarà contento il ministro.
Poi ovviamente cominceremo con pochi spettatori per le limitazioni, ma prima o poi il pubblico tornerà. Alla fine abbiamo sempre fatto teatro per due persone come per cinquemila persone, a seconda delle situazioni, se ci impegniamo il pubblico arriverà. Come dice Shakespeare non esiste in natura o in teatro qualcosa che fa bene o male a prescindere, è solo questioni di dosi. E avendo studiato da perito chimico te lo confermo. Insomma, dovremo essere capaci di lavorare sempre più in quella «interzona» che c’è tra il pubblico in sala e il pubblico a casa, non si può certo eliminare il virtuale, anzi, bisogna insistere sempre più in quel mondo di mezzo. Dentro e fuori il teatro. Lasciamelo dire, sono convinto che si apriranno tempi nuovi e interessanti.